Beatrice Rangoni Machiavelli: una donna impegnata in grandi battaglie e dotata di grande lungimiranza

    L’intervista di Beatrice Rangoni Machiavelli ci consegna un’immagine di donna impegnata in grandi battaglie e dotata di grande lungimiranza per avere riconosciuto molto presto l’importanza dell’Europa per l’Italia. Beatrice Rangoni Machiavelli, impegnata già da giovanissima nella politica, nel sociale, nella cultura, ha speso un’intera vita al servizio della società civile, dedicandosi a problematiche diverse, senza però rinunciare al suo ruolo di moglie e di madre. Ha lottato contro ogni forma di ingiustizia, di discriminazione, di soprusi, in nome dei principi liberali ai quali si è sempre ispirata; ha rappresentato la donna e i suoi talenti in più ambiti in modo prestigioso e autorevole, ricevendo riconoscimenti a livello internazionale; ha operato, assumendosi responsabilità, con rigore morale.

    La sua azione, forte delle sue convinzioni, ha agevolato lo sviluppo di un’autentica coscienza europea, rappresentando i cittadini europei, senza alcuna disparità di sesso, etnia, religione, nei loro bisogni ed esigenze, contribuendo così alla formazione di un’autentica cittadinanza europea. Una personalità eclettica e compiuta, capace di “abbracciare l’insieme delle conoscenze umane per mescolare in un tutto armonioso le scienze esatte, le scienze umane e le arti” (v. discorso di Jacques Blat, Ambasciatore di Francia in Italia in occasione del conferimento della “Légion d’honneur”). “Una donna che fa la differenza” (premio assegnatole dall’IWF). Una donna… semplicemente donna, a cui ogni donna ambisce somigliare.

     

    D.: Fin da giovane la ricchezza dei suoi interessi Le ha permesso di affrontare sia degli studi scientifici che umanistici, poi Lei si è impegnata nel giornalismo. Perché?
    Non ho scelto il giornalismo; Fisica e Scienze Politiche presupponevano altri interessi. E’ stato il mio impegno politico nel Partito Liberale ad introdurmi nella professione. Ho diretto per oltre dieci anni “la Tribuna”, organo ufficiale di stampa del Partito, ai tempi di Giovanni Malagodi, con cui ho collaborato anche come direttore responsabile della rivista “Libro Aperto”, dal 1985 al 1994 che esce tuttora e dove sono Presidente del Comitato dei Garanti.

    D.: L’ambiente giornalistico italiano è stato sempre aperto verso le donne?
    Direi di no. Ai tempi della mia direzione de “la Tribuna” mi fu chiesto di firmare come Direttore Responsabile: B. Rangoni Machiavelli, ritenendo che la mia identità femminile potesse portare pregiudizio al giornale. Dovetti sopportare questa situazione, finché in occasione di un Natale ricevetti in omaggio un rasoio bilama “Gillette”, a cui si accompagnava un biglietto indirizzato…”Ad un uomo di successo”. Questo era veramente troppo! Minacciai le dimissioni e così ho potuto aggiungere alla firma il mio nome di battesimo. Ma era cosi a quell’epoca. Partecipando alla trasmissione televisiva “Tribuna Politica” di Jacobelli, suscitai più interesse per la mia pettinatura che per le domande che ponevo. Forse perché ero la prima donna invitata a partecipare ad un dibattito politico televisivo.

    D.: Quando ha iniziato ad occuparsi dei problemi della condizione femminile? Quale giovane donna e studentessa ha avuto modo di interrogarsi sulla questione femminile?
    Mi resi conto di “una questione femminile” molto tardi, perché provenivo da una famiglia lombarda in cui le donne, per tradizione, erano considerate, come si dice in dialetto, ” i donn”, con l’articolo al maschile. Ciò significava che alle donne veniva riconosciuto un ruolo forte in ambito familiare e sociale. D’altra parte mia madre, figlia di diplomatici, aveva trascorso molti anni all’estero, dove la donna aveva realizzato livelli apprezzabili di emancipazione. Fu la lettura del libro “Ainsi soit-elle” di Benoite Groult (Porta chiusa alle donne) a rendermi consapevole dello stato di inferiorità in cui la donna viveva in altre realtà, anche in quella europea.

    D.: Quali sono le battaglie che ricorda con maggior intensità o alle quali assegna maggiore importanza?
    Ho aderito a tutti i movimenti femministi tra cui “Les Femmes d’Europe” il primo a livello Europeo a promuovere iniziative a favore dell’emancipazione femminile. Creammo contatti con le donne detenute in carcere e private dei figli, dando voce alla loro maternità soffocata e dolente. Sono stata anche corrispondente italiana del periodico “Donne d’Europa”, pubblicato in nove lingue dalla Comunità Europea. Aderii all’iniziativa di Rita Levi Montalcini “Le donne nei Paesi in via di Sviluppo”, a favore soprattutto dell’Africa, dove furono poi costituite quattrocento associazioni a difesa dei diritti della donna. Uno dei punti chiave dell’azione femminile fu la conferenza delle Nazione Unite che si svolse a Nairobi nel giugno del 1985. Le Nazione Unite presero coscienza che i loro programmi avevano avuto un impatto molto limitato sulle donne. La conferenza di Nairobi fu convocata per definire un nuovo orientamento delle Nazioni Unite con programmi che avrebbero portato al riconoscimento di diritti costituzionali e di partecipazione politica per le donne. La rappresentanza della delegazione italiana era stata attribuita al Senatore Libero Della Briotta, il quale convocò trenta donne di tutti gli orientamenti politici per ottenere i loro pareri da “rappresentare” a Nairobi. La risposta fu secca e unanime: un coro di “No! A Nairobi ci andiamo noi!” E cosi ci ritrovammo tutte e trenta a Nairobi di cui ho un bellissimo ricordo, anche se dovetti fare praticamente da sola la maggior parte del lavoro in quanto ero l’unica che parlasse inglese. Quando nel 1968 fu presentata la legge Fortuna-Baslini mi sono molto impegnata perché i 39 voti liberali, indispensabili alla sua approvazione, non venissero meno, come Marco Pannella può testimoniare.

    D.: La sua famiglia di origine che ruolo ha avuto nelle Sue scelte e nella Sua formazione? E nel tempo come ha conciliato i Suoi notevoli impegni con la cura della famiglia e dei suoi figli?
    La mia famiglia d’origine ha avuto un ruolo importante nella mia formazione. Mia madre non aveva frequentato le scuole pubbliche, ma era una donna colta: parlava più lingue, leggeva tantissimo e aveva una mentalità progressista. Mi ha lasciato sempre la massima libertà. Ho dedicato molte cure alla mia famiglia. Purtroppo ho perso la mia secondogenita ancora bambina e mio figlio ha sempre costituito la priorità della mia vita. Mi sono dedicata alla politica a tempo pieno da quando mio figlio Giangiacomo, all’età didiciotto anni, andò via da Roma, scegliendo di frequentare a Pavia la Facoltà di Lettere e Filosofia.

    D.: La Sua “fede” europeista l’ha portata ad un certo momento della sua vita ad assumere l’importante incarico presso il Comitato Economico e Sociale dell’Unione Europea (C.E.S.E.), prima come membro dell’Assemblea, infine come Presidente nel1998. E’ stato un percorso naturale oppure influenzato dal caso?
    Mi sono sempre occupata di Europa, partecipando a tutte le attività del Movimento Europeo, di cui sono stata Vice Presidente, e di varie associazioni europeiste. Entrai a fare parte del C.E.S.E. nel 1982 e nel 1998 sono stata eletta Presidente del Comitato stesso. La mia elezione costituì una novità nella storia comunitaria perché per la prima volta una rappresentante della società civile era stata eletta al vertice istituzionale della Unione Europea. Nel C.E.S.E. mi sono occupata sempre della difesa dei diritti umani e civili in generale, e della donna in particolare. Sono stata anche promotrice della “Giornata europea del consumatore” che si celebra ogni anno il 15 marzo in tutte le capitali d’Europa. A Bruxelles la porta del mio ufficio era aperta già alle 7 del mattino per tutti quelli che avevano bisogno di parlare con me – i rappresentanti sindacali dei circa 1000 dipendenti del CESE, i funzionari e i membri dell’Assemblea – cosa non apprezzata dai burocrati che si consideravano unici concessionari degli incontri con la Presidenza.

    D.: Difficile riassumere tutte le onorificenze e i riconoscimenti da Lei ricevuti in ambito internazionale. Un evento più degli altri Le ha provocato una maggiore commozione e/o apportato una particolare gratificazione?
    Il riconoscimento che mi ha gratificato di più è stato quello ricevuto come prima donna europea dall’IWF (International Women Forum) negli USA “Una donna che fa la differenza”; è stata anche importante per me, per mio figlio e per i miei amici che erano presenti, l’intervento dell’Ambasciatore di Francia in Italia, in occasione della consegna dell’onorificenza di Grande Ufficiale della “Legion d’onore” conferitami per il mio “eccezionale contributo alla costruzione europea”. L’altra onorificenza al merito, con il grado di Grande Ufficiale della Repubblica Italiana, mi è stata conferita dal Presidente della Repubblica, Ciampi. Mi dispiaceva avere ricevuto riconoscimenti da altri Paesi e non dal mio; mi ha fatto molto piacere che sia stato il Presidente Ciampi a consegnarmela.
    Ci sono state altre segnalazioni più casuali e a volte divertenti: la Thatcher aveva intenzione di rinviare le elezioni al Parlamento europeo. Le donne che si erano preparate per la campagna elettorale non potevano accettare questo rinvio. Organizzai con una rete di donne a livello europeo l’invio di telegrammi al n. 10 di Downing Street. Il giornale Guardian fece un articolo spiritoso dal titolo: “Machiavelli is still alive” (Machiavelli è ancora vivo) raccontando come gli uscieri del Parlamento inglese con vassoi d’argento carichi di telegrammi, non dessero pace alla Thatcher.

    D.: Quali sono secondo Lei le conquiste che le donne di oggi devono ancora fare per una parità autentica?
    Come ho affermato nell’articolo “Il sorpasso delle donne”, entro l’anno 2010 nel mondo occidentale ci sarà una prevalenza femminile nel lavoro rispetto a quella maschile, tranne che in Giappone e in Italia. Elemento di discriminazione rimane il compenso retributivo che, a parità di mansioni, è spesso inferiore: in Italia il differenziale di genere tocca la punta massima del 23%. Altro elemento negativo è il mancato riconoscimento del valore sociale della maternità.

    D.: Cosa ne pensa delle giovani donne di oggi? Quali sono le maggiori sfide che secondo Lei devono affrontare?
    Sono fiera di loro perché le battaglie che noi abbiamo fatto in tempi difficili e lontani hanno creato una classe dirigente femminile di grande valore, più preparata degli uomini a superare la mancanza di certezze. Purtroppo non esiste ancora fra le donne una solidarietà femminile, come quella che c’è tra gli uomini. Mi auguro che questa quanto prima si realizzi, perché necessaria all’affermazione delle individualità e del genere femminile.

    D.: Quali consigli sente di dare alle giovani donne che si affacciano oggi nel mondo del lavoro per avere successo?
    Come affermo da tempo, l’adattabilità, la flessibilità, l’umanità, le capacità e i talenti delle donne, uniti all’alto livello odierno dell’istruzione, consentono loro di vivere nel XXI secolo da protagoniste. Le donne però devono assumere la piena consapevolezza di ciò che valgono, per porsi in modo autorevole nei confronti del mondo civile e del lavoro.

    D.: Non tutte le donne nascono da una famiglia come la Sua e hanno il Suo talento, cosa direbbe alle donne “comuni” per realizzarsi come donne di oggi?
    Riconosco che sono partita da una posizione di vantaggio che mi derivava dai miei studi, dalla mancanza di pregiudizi della mia famiglia e dalla libertà di cui godevo. Tutti i traguardi e gli obiettivi che ho raggiunto sono dovuti all’attività costante e alla motivazione profonda che hanno caratterizzato il mio impegno morale, umano, politico, sociale. Consiglierei alle donne di perseguire tenacemente i propri obiettivi, se retti da idealità e massima convinzione.

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