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L’Economist, in un recente articolo apparso il 15 febbraio scorso, fa il punto della situazione sulle disparità di genere, analizzando i dati relativi a 29 Paesi dell’area OCSE che sono stati elaborati in modo da evidenziare un indice sintetico, denominato “ index glass-ceiling” (indice sul cosiddetto soffitto di vetro che limita le opportunità per le donne) in base al quale misurare le differenze che ancora permangono nonostante i progressi registrati nell’ultimo anno, soprattutto nella condizione lavorativa.
Come si sottolinea nell’articolo, il tema della Giornata internazionale della donna di questo prossimo 8 marzo, è infatti proprio quello di dare risalto attraverso la stampa ai cambiamenti in atto e incentivare i progressi ancora da raggiungere.
L’indice, che viene elaborato da sei anni dall’Economist, classifica i paesi migliori e quelli peggiori per quanto concerne la condizione delle donne lavoratrici. Ogni punteggio è basato sulla performance media in dieci indicatori: rendimento scolastico, partecipazione femminile al mercato del lavoro, retribuzione, costi di mantenimento dei figli, diritti di maternità e paternità, domande di iscrizione in business school e rappresentanza nei posti di lavoro senior (in posizioni manageriali, nei consigli di amministrazione di aziende e in parlamento).
Alcuni paesi del nord Europa risultano particolarmente attenti all’uguaglianza di genere e fanno registrare i valori più elevati dell’indice: la Svezia è al primo posto, con un buon punteggio nella partecipazione femminile alla forza lavoro, che è superiore all’80%, e la quota di donne in parlamento (44%). Seguono nella graduatoria la Norvegia, l’Islanda e la Finlandia.
Sul versante opposto si posizionano paesi quali il Giappone, la Corea del Sud e la Turchia, dove la parità sul posto di lavoro per le donne è ancora in ritardo. Gli Stati Uniti, sotto il presidente Donald Trump, salgono dal 20 ° al 19 ° posto grazie in parte a un più alto tasso di partecipazione delle donne alla forza lavoro femminile.
L’articolo sottolinea come in generale le donne abbiano decisamente ampliato la loro presenza nei posti di lavoro. Vi è stato un aumento della quota di donne presenti nella forza lavoro, in possesso di un’istruzione terziaria e che hanno sostenuto esami di ammissione a business school, che danno maggiori opportunità per l’acquisizione di lavori in posizioni dirigenziali.
Eppure, si fa notare, i progressi potrebbero essere più lenti del previsto.
Si cita in proposito la MSCI, una società che si occupa di dati finanziari, che ha rinviato di un anno, al 2028, la stima del 30% di donne che dovrebbe raggiungere posizioni lavorative di vertice (il dato è ora del 17,3%).
Alcuni segnali di cambiamento, in specie sul versante degli atteggiamenti culturali, si colgono tuttavia in paesi che sono collocati in fondo alla graduatoria. Lo scorso anno, ad esempio, il Global Summit of Women, un raduno sulla economia e il commercio cui hanno partecipato oltre 1.300 leader di 60 paesi diversi, si è tenuto in Giappone per la prima volta.
Di grande importanza viene considerato il fatto che il movimento #MeToo, una campagna di social media contro la violenza e le molestie sessuali, sia stato recepito in Corea del Sud. Ciò ha portato a numerose denunce di donne che hanno subito comportamenti inappropriati da parte di alti magistrati, proprietari di conglomerate sudcoreane e membri di consigli di amministrazione. Comportamenti che sono venuti alla luce proprio perché sempre più donne si sentono autorizzate, grazie al movimento e alla solidarietà della opinione pubblica, a non celare più gli abusi subiti.
Nella graduatoria dell’Economist, l’Italia si colloca al 17° posto, al di sopra della media generale il che sembra rappresentare un dato positivo, soprattutto considerando che paesi quali gli Stati Uniti, la Germania, l’Olanda, e la Gran Bretagna sono in posizioni meno soddisfacenti, con valori dell’indice sintetico inferiori alla media.
In effetti nel nostro paese alcuni cambiamenti importanti sono avvenuti, come emerge dai dati di fonte Istat (rapporto BES sul benessere equo e sostenibile) che mostrano ad esempio livelli di istruzione femminili nettamente superiori a quelli maschili e una crescente presenza delle donne in parlamento, nei consigli di amministrazione di grandi società, nella dirigenza della pubblica amministrazione.
Il punto nettamente critico rimane però quello del lavoro. I dati Istat mettono in luce come nel 2016 il gap di genere del tasso di occupazione sia aumentato seppur di poco, restando sui 20 punti percentuali, mentre il tasso di mancata partecipazione rimane ancora molto elevato dal momento che le donne che desiderano lavorare ma non trovano occupazione sono pari al 25,9% mentre per gli uomini l’analogo dato è pari al 18,2%. L’Istat segnala anche che il divario di genere è 5 volte superiore a quello europeo.
I miglioramenti ai vertici della politica, delle aziende e della pubblica amministrazione non si sono ancora tradotti in miglioramenti per le donne in generale. Molto ancora resta quindi da fare per garantire alle donne del nostro paese un diritto fondamentale quale l’accesso al lavoro, tema che Corrente Rosa vuole riproporre con forza in occasione del prossimo 8 marzo.
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