Agnese Serra ci scrive da Cagliari, 29 aprile 2012
Donne uccise. Che cosa sta succedendo a questi uomini? E’ l’effetto del disagio crescente della vita quotidiana, disseminata di difficoltà, problemi, emergenze economiche, sociali, culturali? O è semplicemente un effetto del ruolo atavico che vede l’uomo avere sempre e comunque la supremazia?
E’ la crisi del rapporto uomo-donna? Dove stiamo sbagliando se i nostri figli, fratelli, stanno pentando assassini? Vanessa Scialfa, forse, ha osato sbagliare, ha chiamato il suo convivente col nome del suo ex. Qualcuno obbietta ”no, c’erano altri motivi”. E quali possono essere questi motivi che hanno portato una ragazza di 20 a morire per mano del suo cosiddetto innamorato?
Non sono certa che il femminicidio, come fenomeno sociale gravissimo, stia a cuore a qualcuno. Se una donna viene ammazzata ogni due giorni, per “motivi passionali”, come ancora vengono definite le cause di questi delitti, uccisa proprio da colui che dovrebbe volere solo il suo bene, vuol dire che la voragine dell’incomunicabilità si sta allargando. I messaggi che la nostra società propone, subliminali e non, si stanno moltiplicando in maniera distorta e non vengono tradotti correttamente. La donna che muore per mano maschile omicida, sta scontando la pena della donna che non si sottomette, che reagisce, che non si adatta. Ma sta pagando anche il fio che le deriva proprio dai comportamenti di molte altre donne che, stanno comunicando l’idea che a tutte noi c’è libero accesso e questo accesso è “facile” perciò fuori dai “costumi”.
Il libero accesso non comporta né responsabilità né impegni. Così l’uomo irrisolto, senza valori, privo di precisi riferimenti, di rispetto profondo, magari in giacca e cravatta, giudica una donna incarnandole tutte in lei: tanto sono tutti oggetti di cui si può disporre.
A questi uomini piace utilizzare le donne ma si arrogano il potere di
giudicare, trovano facilmente la falla e la tappano con la loro vendetta: la pena capitale.
Come ti permetti donna! Dispongo di te della tua vita. Ti butto dal cavalcavia. Devi morire. Non c’è appello.
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