CHI È LA PIÙ CATTIVA DEL REAME?

    Chi è la più cattiva del Reame?” è un libro scritto da Laura Pigozzi esperta della relazione tra psicoanalisi e modernità, con particolare riferimento all’emisfero femminile. La Pigozzi in quest’ opera cerca di spiegare il rapporto interessante ma anche complicato tra madre e figlia nel nuovo contesto moderno della famiglie ricostituite in cui è presente un’altra figura femminile investita di un ruolo materno: la “matrigna”.
    L’autrice, dopo una lunga esperienza sul campo, parte proprio dal nuovo concetto di famiglia, ormai allargata, in cui i protagonisti del romanzo familiare non sono più solo i genitori biologici con ruoli ben definiti, ma altri individui in cui uno dei due adulti non è il genitore naturale del bambino.
    Molto spesso queste famiglie non hanno un contesto culturale che parli di loro, che ne analizzi i principi: restano dunque sole nella soluzione di problemi importanti come quelli che riguardano l’educazione e la crescita di giovani vite in un ambito radicalmente inedito.
    Questa indagine cerca di esplorare, con gli strumenti della psicoanalisi, la natura dei legami che emergono nelle nuove famiglie. Pur studiando la posizione dei figli di entrambi i sessi, l’autrice porrà in rilievo l’asse di trasmissione femminile di questa nuova realtà. Risponderà a tutta una serie di domande che emergono nel nuovo contesto familiare: Che tipo di legame emerge tra madre – figlia quando esiste, oltre alla madre, un’altra figura femminile investita, anche solo a tempo parziale, di un ruolo di cura? Che legame nasce tra la matrigna e la figlia del partner e con la madre di questa? E, soprattutto, come cambia, in presenza di questa figura,  la classica relazione di amore e di odio tra madre e figlia? Cosa succede ai già complessi percorsi di una figlia per diventare donna, quando esiste una figura femminile, che non è la madre, a essere al centro del desiderio paterno? E la figura paterna in presenza di una matrigna ne esce ulteriormente disgregata o, al contrario, sostenuta?
    Partendo dal termine usato nel libro “matrigna”, potrebbero nascere equivoci e tornare a pensare al contesto fiabesco che evoca ricordi non belli; ma il concetto è stato rivoluzionato da Bruno Bettelheim che chiarì che la matrigna della fiaba altro non è che la parte oscura e minacciosa della madre, quella che il bambino confusamente percepisce e a cui riesce a sopravvivere solo separandola, con l’artificio offerto dalla narrazione, dalla parte buona di lei. Per la prima volta la matrigna non è più quella che prende il posto della madre morta, ma è quella cui tocca una compresenza, non sempre facile, con la madre biologica. Infatti, come spesso accade quando c’è una separazione in atto, i figli diventano forse non volontariamente terreno di scontro tra i genitori, contaminando anche il rapporto con  la matrigna.
    La figura della matrigna è ancora tutta da studiare e da fondare perché non è ancora delineata né garantita da alcuna legge, e nel tessuto sociale non ha una collocazione né naturale né tradizionale.
    La matrigna sta in posizione “terza”: non è il duplicato della madre ma, cosa per nulla secondaria, può sostenere presso il valore della figura paterna; ciò assume maggiore rilevanza in un’epoca, come la nostra, in cui il padre è depotenziato, sfilacciato, fiaccato, anche a causa della devastazione e dell’esilio che egli subisce nei discorsi di alcune madri che occupano il posto di genitore unico. Una maggiore chiarezza istituzionale sull’argomento potrebbe evitare che il genitore affidatario faccia la legge per tutti, imponendo regole spesso particolarmente punitive verso l’altro genitore.
    In ciò la relazione matrigna-figlia è particolarmente delicata: può essere molto vivace, può rivelare amore e rispetto, ma anche nascondere alcune insidie; per esempio, se il rapporto madre-figlia è insoddisfacente, la bambina o la ragazza potrebbe rivolgere alla matrigna domande e quesiti che in condizioni normali non porrebbe alla madre, trasformando la matrigna in semplice confidente (posizione non idonea per colei che dovrebbe avere anche l’onere di educare). Senza una cornice culturale adatta, una figlia e una matrigna possono sentire quasi illeciti i sentimenti che le uniscono, come se si trattasse di affetti senza diritto.
    Occorre, infine, riconoscere che la natura dei legami incrociati tra figlia, madre e matrigna rivelano il modo in cui ciascuno delle protagoniste ha vissuto il proprio posto in seno alla famiglia di origine e cosa si rimette in gioco degli antichi meccanismi, restati probabilmente nell’ombra: ecco perché sono relazioni aggrovigliate ed interessanti.
    Il libro può essere considerato come un manifesto critico della matrigna, che inizia a far circolare e stimolare pensieri nuovi su questa realtà e contribuire a costruire uno sfondo di riflessione psicoanalitico (ma anche sociale e culturale) intorno alle nuove famiglie che si trovano a vivere un tempo storico controverso ed ambiguo.
    Roma,– 8 marzo 2013 Marilena Fontana

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