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In questi giorni fa molto discutere il racconto di una donna romana, che – a seguito di un aborto terapeutico – è stata lasciata sola dal personale medico dell’ospedale, poiché tutti “obiettori”.
E’ noto che il fenomeno dell’obiezione di coscienza (spesso più obiezione “di comodo”) ha assunto proporzioni ridicole in Italia – soprattutto in alcune regioni, dove gli obiettori possono costituire più dell’80% dei medici specializzati – tanto che pochi giorni fa sulla questione si è espresso anche il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa, riconoscendo che l’elevato numero di medici obiettori di coscienza, l’Italia viola i diritti delle donne che, alle condizioni prescritte dalla legge 194 del 1978, intendono interrompere la gravidanza.
Non entriamo qui nel discorso dell’obiezione di coscienza e nei limiti che dovrebbe rispettare, poiché se ne è già parlato.
Vogliamo però proporre un’azione volta a consentire l’applicazione in concreto della legge 194 nelle strutture ospedaliere e nei consultori italiani.
Ne avevamo già scritto tempo fa, in relazione a una sentenza del TAR Puglia Bari, ma ci sembra opportuno ribadirlo.
Posto che l’accesso all’interruzione di gravidanza viene spesso negato o limitato alle donne per l’assenza nelle strutture pubbliche di personale medico-ostetrico “non-obiettore”, al fine di garantire l’effettiva applicazione della disciplina legislativa sopra richiamata, riteniamo che i bandi di concorso per l’assunzione di personale (ginecologi/ghe, ostetriche) dovrebbero prevedere una riserva di posti del 50% per soggetti che NON abbiano prestato obiezione di coscienza.
Come chiarito nel 2010 dalla Sentenza TAR Bari , Bari, difatti, tale soluzione non sarebbe in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, poiché rimarrebbero comunque il 50% dei posti anche per medici obiettori.
A norma dell’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 216/2003, inoltre, “Nel rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza e purché la finalità sia legittima, nell’ambito del rapporto di lavoro o dell’esercizio dell’attività di impresa, non costituiscono atti di discriminazione ai sensi dell’articolo 2 quelle differenze di trattamento dovute a caratteristiche connesse alla religione, alle convinzioni personali, all’handicap, all’età o all’orientamento sessuale di una persona, qualora, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, si tratti di caratteristiche che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività medesima”.
Ed è esattamente questa la situazione in cui ci troviamo: nell’attività di ginecologo/ostetrica nell’ambito di aziende ospedaliere e consultori pubblici, le interruzioni di gravidanza sono parte dei servizi richiesti. Per questa ragione, il riservare almeno il 50% dei posti a personale non-obiettore costituisce una misura ragionevole e proporzionata al fine di garantire il pieno e corretto svolgimento del servizio pubblico.
Non pensiamo sia la soluzione perfetta, ma pensiamo che potrebbe essere un grande passo avanti soprattutto in situazioni in cui – come nel Lazio – l’80% del personale medico specializzato è costituito da “obiettori di coscienza”.
Invitiamo quindi le aziende ospedaliere, ASL, amministrazioni pubbliche, a prendere atto di tale possibilità e utilizzarla nell’indizione dei prossimi concorsi, al fine di garantire la piena applicazione della legge 194 del 1978 e il rispetto dei diritti e della dignità delle donne.
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