In un articolo del 18 aprile 2007, il Financial Times riprende un documento pubblicato dalla Harvard University in cui Alberto Alesina e Andrea Ichino, docenti di economia rispettivamente a Bologna e ad Harvard, spiegano che ridurre le tasse per le donne potrebbe ridurre le sproporzioni fiscali e di conseguenza far aumentare la partecipazione delle donne alla forza lavoro, compensando il carico della maternità che le donne devono sopportare, spesso penalizzante per la loro carriera.
Tale proposta è in linea con gli obiettivi comunitari dell’Agenda di Lisbona per l’occupazione femminile, in particolare nel Sud dell’Europa dove le donne tendono a stare più in casa. Ridurre il costo del lavoro per le donne sarebbe il miglior modo di realizzare questi obiettivi.
Tassare meno le donne ridurebbe il loro salario lordo e aumenterebbe il loro salario netto rendendo relativamente meno costoso il loro reclutamento (e la discriminazione diventerebbe più costosa). Uno stipendio netto più elevato consentirebbe alle donne di comprare a prezzi di mercato servizi di assistenza per i figli senza che questa misura abbia l’effetto di discriminare tra donne con o senza figli, effetto che invece si realizza con un sussidio ad esempio agli asili nido.
Questo trattamento differenziato sarebbe discriminatorio? La risposta degli autori è negativa: essi considerano che non ci sia niente di più ipocrita che un trattamento paritario quando esistono altre condizioni discriminatorie come un diverso trattamento nel mercato del lavoro o l’asimmetria nel carico del lavoro domestico. Gli autori concludono ricordando che anche gli uomini, che spesso condividono il loro stipendio con una donna, si avvantaggerebbero dalla misura.
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