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Nel 2010, la Francia è stata la prima nazione Europea a proibire l’uso del velo che copre interamente il viso delle donne secondo il precetto islamico. Dopo l’approvazione di questa normativa molti hanno protestato, sostenendo che bandire il burqa e il niquab fosse una limitazione della libertà individuale. La violazione della norma, tra l’altro, comporta una sanzione di 150 euro.
Particolarmente famoso è il caso di una giovane donna francese di religione islamica conosciuta solo con le iniziali “SAS”, che nel 2011 protestò contro questa normativa, facendo presente che questa legge limitava la libertà di culto e di espressione delle donne mussulmane residenti in Francia.
Il caso è esaminato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il verdetto è stato emanato solo nel giugno del 2014, dopo tre anni dall’inizio del ricorso. La Corte si è pronunciata a favore della normativa, sostenendo che nel caso specifico non vi è alcuna violazione degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte ha “accettato che la barriera sollevata contro gli altri da un velo che copre il viso è percepita dallo Stato come una violazione del diritto degli altri a vivere in uno spazio sociale che rende la vita in comune più facile.”
Alcuni temono che questo verdetto possa avere gravi ripercussioni nell’ambito della comunità islamica francese, rinforzando stereotipi negativi. Tuttavia, parte dell’opinione pubblica considera la pronuncia della Corte come un traguardo importante nella lotta per l’emancipazione femminile e l’uguaglianza di genere.
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