Middle management e divari di genere

    Nicoletta Bevilacqua.

    In occasione del World Economic Forum di Davos è stata presentata una ricerca, realizzata dalla società internazionale di consulenza Mercer, sulle prospettive di evoluzione nei prossimi dieci anni della presenza femminile a livello di Professional. L’indagine “Se le donne hanno successo, hanno successo anche i business” è stata svolta in 42 paesi analizzando i questionari di 583 grandi aziende e multinazionali coinvolte nella rilevazione, la cui occupazione supera complessivamente 3,2 milioni di addetti, di cui 1,3 milioni donne.

    I risultati emersi evidenziano come, in assenza di politiche idonee a promuovere ed incrementare tale segmento dell’occupazione femminile, si registrerà nel prossimo decennio un sostanziale stallo: si stima infatti che la presenza nelle aziende di grande dimensione di quadri intermedi donne rimarrà ferma al 40%, rispetto all’attuale 35%. In Europa il dato si attesterà sull’attuale 37%, mentre un piccolo incremento (appena l’1%) è previsto negli Stati Uniti e Canada. Critica la situazione in Asia, dove l’occupazione femminile di figure Professional non dovrebbe superare il 28%. Una crescita significativa viene invece stimata in America Latina (dal 36% al 49%), dove sono in atto interventi specifici per ridurre la disparità di genere da parte delle grandi imprese.

    L’indagine mostra come a livello globale le percentuali di partecipazione degli uomini e delle donne nei ruoli di staff siano equivalenti (51% per la componente femminile e 49% per quella maschile), mentre differenze di rilievo si colgono tra i Professional (3 su 5 sono uomini), e specialmente tra i Manager (ruolo svolto per i due terzi da uomini), i senior Manager (74%) e gli Executive (80%).

    Diversamente da quanto accade per i ruoli di vertice che hanno fatto registrare, grazie alle normative sulla parità di genere attive in diversi paesi (tra questi, a livello europeo, l’Italia, la Norvegia, il Belgio, la Francia, l’Islanda, l’Olanda, la Spagna e la Germania), un significativo aumento della rappresentanza femminile nei Board delle società quotate, le posizioni professionali intermedie sono ancora scarsamente presidiate dalle donne, che incontrano difficoltà ad accedervi pur possedendo specifiche qualità e stili di lavoro che, opportunamente valorizzati, si rivelano un fattore di successo per le organizzazioni.

    In particolare, segnala l’indagine, sono importanti le capacità di leadership inclusiva, l’intelligenza emotiva e soprattutto la flessibilità al cambiamento, che i rispondenti hanno indicato come la caratteristica più importante in assoluto, attribuendola nel 39% dei casi alle donne e al 20% agli uomini, che eccellono invece per una maggiore esperienza nelle gestioni economiche e per le più vaste competenze tecniche e trasversali.

    La ricerca sottolinea quindi l’importanza di politiche di inclusione più incisive e continuative nel tempo, in grado di coinvolgere in modo concreto tutti i dipendenti e i vertici aziendali in specifici programmi finalizzati alla riduzione del divario di genere. Tra questi, interventi di carattere educativo (che coinvolgono attualmente solo il 38% dei dipendenti uomini), un sostegno mirato alle esigenze connesse alla sfera della salute, l’introduzione di benefit per conciliare vita e lavoro, la mentorship, la realizzazione di interventi di educazione finanziaria e previdenziale (diffusi, con buoni risultati, soprattutto negli Stati Uniti e Canada).

    Alcuni elementi di interesse emergono sulla situazione italiana, dove il riconoscimento giuridico della qualifica di quadro è relativamente recente, risalendo al 1985.

    Sulla base di una ricerca QUADRIFOR-Doxa sul ruolo, i fabbisogni formativi e le competenze dei Quadri del Terziario, Distribuzione e Servizi, è possibile disporre di alcuni dati di confronto a livello europeo di fonte Eurostat che tracciano il seguente scenario di riferimento:

    • i Manager e i Quadri nella Unione Europea a 15 (EU-15) ammontano nel 2013 a circa 42 milioni di lavoratori, pari al 25% circa della occupazione complessiva. L’Italia si posiziona all’ultimo posto, con una incidenza del 17,7%;
    • in quasi tutti i Paesi, la quota dei Manager del settore pubblico risulta prevalente. Nel caso italiano la percentuale è pari al 57,7% rispetto al 42,3% del settore privato;
    • in Italia sia l’incidenza dei Manager sul totale occupati, sia la quota di Professional risultano sottodimensionati (3,7% per i primi, 14,1% per i secondi) rispetto ai valori medi europei (rispettivamente 6% e 18,8%);
    • se si considera la variabile di genere, si può notare una scarsa rilevanza nel nostro paese delle donne Manager (27,7% del totale della categoria a fronte di una media europea del 32%), mentre del tutto diversa appare la situazione dei Quadri, tra i quali la componente femminile è maggioritaria (54%) rispetto a quella maschile e supera la media europea (50%). Tale fenomeno è però largamente ascrivibile alla forte presenza delle donne in settori quali la scuola e la sanità e più in generale nel comparto pubblico.

    Il gap nel settore privato resta infatti molto forte, come si inferisce dai dati di fonte Istat sulla distribuzione in Italia dei quadri (in totale 430 mila unità) per genere, che segnalano nel 2013 una incidenza delle donne pari al 28,3% a fronte del 71,7% degli uomini. La presenza femminile, inoltre, è rinvenibile soprattutto nel terziario, mentre nell’industria cala vistosamente.

    Dalla ricerca Doxa, realizzata anche attraverso una indagine su un campione di quadri associati alla QUADIFOR (Istituto Bilaterale per lo Sviluppo della formazione dei Quadri del Terziario), emergono alcune indicazioni in merito agli interventi da porre in essere per favorire la crescita del middle management al femminile. Tra questi, una più ampia diffusione del welfare in azienda regolato anche contrattualmente, la messa in atto di politiche di formazione continua soprattutto nell’empowerment, la valorizzazione della propensione delle donne verso l’innovazione, la promozione di un cambiamento culturale, già nella famiglia e nella scuola, che consenta il superamento di stereotipi consolidati che, in fasi di crisi economica quale l’attuale, tendono a riproporre la centralità della figura maschile nei ruoli lavorativi di responsabilità.

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