Donne e leadership: il caso di Hillary Clinton conferma la teoria del “double bind”

    Former U.S. Secretary of State Hillary Clinton takes part in a Center for American Progress roundtable discussion on "Expanding Opportunities in America's Urban Areas" in Washington.

    Nicoletta Bevilacqua.

    Quali fattori condizionano le aspettative nei confronti delle donne che assumono ruoli di leadership? Queste donne sono costrette dal giudizio dell’opinione pubblica a rispettare ruoli in opposizione fra loro, impossibili da conciliare? L’attesa cui corrispondere è infatti duplice: essere un buon leader e al contempo preservare le caratteristiche e qualità che nell’ opinione comune sono prerogativa del ruolo femminile. Questo articolo invita i lettori ad una riflessione su tali tempi, con un riferimento particolare al caso Hillary Clinton, attualmente in corsa per la Presidenza degli Stati Uniti.

    Un editoriale del Washigton Post di Deborah Tannen, professoressa di linguistica all’Università di Georgetown, prende spunto dalla candidatura di Hillary Clinton alle prossime elezioni presidenziali negli Usa per evidenziare quali siano i fattori che condizionano le aspettative delle donne di assumere ruoli di leadership.

    Sul tema si sono recentemente interrogate Gloria Steinem, famosa giornalista e leader del femminismo degli anni sessanta e settanta, e Madeleine Albright, prima donna Segretario di Stato degli Stati Uniti durante il secondo mandato presidenziale di Bill Clinton, che hanno espresso la loro opinione secondo la quale non è pensabile che si voti per Hillary Clinton semplicemente perché è una donna.

    L’editorialista ritiene tuttavia che la questione di genere non possa essere ignorata e sottolinea come l’interrogativo da porsi sia molto più complesso e possa piuttosto essere formulato nel modo seguente: “sono sicuro di star giudicando in modo accurato questo candidato, considerato che nei confronti di tutte le donne che aspirano a ricoprire posizioni di autorità opera un doppio condizionamento?”. Condizionamento che le costringe a mettere in atto e rispettare ruoli in opposizione tra loro, impossibili da conciliare. L’attesa cui corrispondere è infatti duplice: essere un buon leader e al contempo preservare le caratteristiche e qualità che nella opinione comune sono prerogativa del ruolo femminile.

    Al buon leader vengono infatti attribuite doti tipicamente maschili (forza decisionale, capacità di creare fiducia, manifestazione di modi “adirati” se necessari per esprimere autorità), mentre alle donne viene associata la gentilezza, la capacità di autocritica, l’emotività scevra da atteggiamenti aggressivi.

    Da qui origina il dilemma: se una candidata (o manager) si propone con modi generalmente attesi da una donna, rischia di essere considerata poco sicura di sé e anche incompetente. Se, al contrario, si pone come un leader, si espone probabilmente al rischio di essere considerata troppo aggressiva e a molte altre critiche che si applicano solo alle donne.

    Gli esempi non mancano. Chiunque cerchi di entrare in un ufficio pubblico, soprattutto di alto livello, deve essere ambizioso e ciò è dato per scontato per un uomo, ma è inaccettabile per una donna. Una conferma in proposito emerge analizzando su Google i titoli che fanno riferimento all’ambizione dei candidati Donald Trump e Hillary Clinton. Nel primo caso, si possono trovare riferimenti al suo “ambizioso piano di espulsioni”, o all’ambizioso sviluppo immobiliare” o al suo profilo “Trump è orgoglioso e ambizioso e si sforza di eccellere”.

    Nel caso di Hilllary Clinton, invece, la ricerca su web produce risultati ben diversi, sottolineando ad esempio la sua “sfrenata ambizione”, l’essere “patologicamente ambiziosa”, fino alla affermazione che è “troppo ambiziosa per essere la prima donna presidente”.

    Robin Lakoff, la linguista che per prima ha identificato ed elaborato, nel 1975, la teoria del doppio condizionamento (double bind) sottolinea come vi sia una persistente impressione che la Clinton sia inautentica e inaffidabile.  La studiosa ritiene che ciò avvenga quando le persone agiscono in modo differente da come noi pensiamo dovrebbero fare per come le conosciamo.   Nel caso specifico, sostiene che tali opinioni dipendano da alcune caratteristiche della Clinton, quali la durezza, che sono considerate appannaggio degli uomini, ma non delle donne.

    L’articolista fa inoltre notare come il “legame doppio” operi in modo impercettibile, “come colpi da una pistola con un silenziatore”. Alcuni commenti critici espressi da donne su Hillary Clinton avvalorano questa teoria e non sono sorprendenti considerato che le donne anche giovani sono abituate a gestire il loro potere evitando di essere ostracizzate per la loro autorità.

    Ciò consente di dare risposta alla questione posta da Stainem e Albright sul perché le giovani donne (bianche) non diano un sostegno netto e deciso alla prima donna che aspira alla presidenza.

    La risposta, secondo la professoressa Tannen, va ricercata nel fatto che il duplice condizionamento si affievolisce nel caso di donne che abbiano conseguito posizioni di autorità, mentre esercita i suoi effetti in quelle che non hanno conseguito tale ruolo. Esse possono essere indotte a credere che, a tempo debito, saranno valutate e giudicate in modo equo sulla base delle loro competenze, non avendo ancora sperimentato, probabilmente, la verità evidente che una donna, per avere una eguale considerazione deve essere migliore dei suoi colleghi maschi – proprio come Hillary Clinton è, secondo il New York Times, “uno dei candidati più ampiamente qualificati nella storia moderna.”

    L’articolo si conclude con un suggerimento per gli elettori di tutte le età: quello di chiedersi se la loro visione della Clinton sia condizionata o meno dai meccanismi distorsivi descritti, ed essere quindi certi di vedere le cose in modo corretto per poter prendere al meglio una decisione.

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