Il Consiglio d’Europa – organizzazione internazionale a carattere regionale con l’obiettivo di favorire la cooperazione politica, culturale e sociale tra i suoi membri – ha approvato lo scorso 7 ottobre un documento denominato “Il diritto all’obiezione di coscienza nelle cure mediche legittime”. Tuttavia, l’iter “del tutto peculiare” che ha portato all’adozione del documento medesimo evidenzia l’esistenza di un duro conflitto tra forze liberali e conservatrici all’interno del continente europeo.
Lo scorso agosto 2010, la laburista inglese Christine McCafferty presentava all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa una proposta contro “l’uso sregolato dell’obiezione di coscienza” da parte degli Stati membri. Tale documento – che aveva già ricevuto l’approvazione della Commissione Affari Sociali, Sanità e Famiglia dell’Assemblea – si poneva l’obiettivo di adottare una regolamentazione omogenea, a livello internazionale, sull’obiezione di coscienza dei medici, in particolare quelli che, per motivi religiosi, morali o filosofici, si fossero opposti ad eseguire interruzioni di gravidanze.
In particolare, McCafferty chiedeva espressamente ai governi degli Stati parte del Consiglio d’Europa di introdurre regole chiare, che obbligassero i medici obiettori di coscienza a fornire ai pazienti tutte le informazioni sui trattamenti disponibili, anche su quelli che l’operatore sanitario non avrebbe condiviso o non avrebbe eseguito. Inoltre, i medici obiettori di coscienza avrebbero dovuto essere obbligati ad eseguire l’intervento in caso di emergenza o quando non fosse stato possibile inviare il paziente presso un altro istituto (ad esempio, in presenza di distanze eccessive tra un ambulatorio e l’altro).
Dopo un duro confronto tra correnti liberali e conservatrici, avvenuto il 7 ottobre 2010 all’interno dell’Assemblea Parlamentare, la bozza di risoluzione McCafferty non è stata approvata. E’ stato invece approvato – con 56 voti favorevoli, 51 contrari e 4 astensioni – un documento, non vincolante per gli Stati membri, che adotta una prospettiva del tutto diversa. In tal senso, confrontando la denominazione dei due progetti, si è passati dall'”Accesso delle donne alle cure mediche legittime: il problema dell’uso non regolamentato dell’obiezione di coscienza“, a “Il diritto all’obiezione di coscienza nelle cure mediche legittime“. Quest’ultimo, che richiama la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e che definisce l’obiezione di coscienza un “diritto fondamentale di libertà”, introduce delle novità che limitano l’autodeterminazione della donna.
In primo luogo, è stato cancellato l’obbligo per i medici di informare i pazienti su tutte le opzioni di cura disponibili, indipendentemente dal fatto che tali informazioni possano indurre il paziente a seguire una cura a cui l’operatore sanitario obietta.
In secondo luogo, è stato poi inserito un paragrafo che introduce la possibilità di rifiutarsi a praticare l’interruzione di gravidanza “per qualsiasi ragione” («nessuna persona o ospedale o istituzione può essere obbligata o ritenuta responsabile o discriminata se rifiuta per qualsiasi motivo di eseguire o assistere un aborto, anche quello spontaneo, interventi di eutanasia o un altro atto che possa causare la morte di un feto o di un embrione umano»).
Infine, il testo estende il diritto all’obiezione di coscienza “agli ospedali e alle istituzioni” e può pertanto portare, almeno in teoria, a vietare di praticare aborti all’interno dei nosocomi.
La bozza di risoluzione McCafferty avrebbe voluto “bilanciare il diritto all’obiezione di coscienza con la responsabilità professionale e con il diritto di ogni paziente ad accedere tempestivamente a legittime cure mediche”. Tale necessità è di grande rilevanza, a maggior ragione se si pensa che era stata sollevata analizzando la prassi degli Stati membri del Consiglio d’Europa (ad esempio, si citava l’Italia come paese in cui un’obiezione di coscienza non regolata abbia condotto a una riduzione del diritto della donna a ottenere un’interruzione di gravidanza). Diversamente, con l’attuale documento, diviene precario il mantenimento dell’equilibrio tra il diritto all’autodeterminazione della donna ed il diritto individuale del personale sanitario e dei medici ad esercitare l’obiezione di coscienza.
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