Come si combatte il sessismo ordinario?

    Abbiamo incontrato Brigitte Gresy, Ispettrice Generale per gli Affari Sociali in Francia per la sua visita a Roma prevista il 13 e 14 dicembre 2011 e parlato del suo saggio “Breve trattato sul sessismo ordinario” (Pubblicato da Castelvecchi).

    Brigitte Gresy è un donna alta, bionda e dinamica. Si muove con velocità e precisione, capisci subito che ha poco tempo ma quello che ha lo dedica al miglioramento della vita professionale delle donne. Spesso scoppia a ridere raccontando come si è divertita a scrivere questo libro facendo interviste alle sue “copines” nei miniseri e nelle grandi aziende.

    L’intervista è cominciata in modo casuale e poi poco a poco mi sono resa conto che avevo bisogno dei consigli di Brigitte per i miei rapporti professionali e l’intervista si è trasformata in un vera e propria discussione su come affrontare il mondo lavorativo maschile.

    SR: Brigitte, che cosa è il sessismo ordinario?

    BG: Non mi riferisco alla molestia sessuale in senso stretto ma a quella molteplicità di segni quasi invisibili che fungono da richiamo all’ordine di comportarsi secondo un modello femminile convenzionale che sono modi di riassegnare ai sessi i loro ruoli tradizionali. E che possono causare molte ferite anche inconsce. Stiamo parlando dell’assenza di scambi alla pari tra uomini e donne.

    SR: Ci puoi dare un esempio?

    BG: Un giorno al Ministero delle Finanze è presente, ad una riunione di crisi sulla riduzione dei margini delle lavatrici, una giovane dirigente. Bruscamente per la prima volta, il capo di gabinetto si rivolge a lei. Per mesi nessuno le ha prestato la minima attenzione, come se fosse stata cancellata sessualmente, come se la guardassero senza vederla, lei provava un senso di sottile esclusione sensa essere in grado di formulare delle accuse precise. Il capo di gabinetto le dice “Le casalinghe non si fanno certo più infinocchiare, Lei ne saprà certo qualcosa signora.” Nei grandi gruppi gestionali a maggioranza maschile, questa è una finta cortesia, un modo di fare fuori una persona che fa ombra, è molto più efficace di un rifiuto, in quanto innalza una barriera insormontabile.

    SR: Sono gli uomini i soli responsabili del sessismo ordinario ?

    BG: Assolutamente no! Anche le donne hanno le loro colpe in quanto soffrono di quello che chiamo le “tre disgrazie”: mancanza di fiducia in se stesse, il sovrainvestimento e la svalizzazione.

    SR: Ci può dare un esempio di ognuna di queste tre disgrazie? Noi che siamo abituate ad essere paragonate alle tre grazie!

    BG: Appunto in un’ambito lavorativo questo è un perfetto esempio di sessismo ordinario che riduce la donna ad un oggetto sessuale (o grazioso) e la infantilizza, spesso di fonte ad altri colleghi per mantenerla in una posizione di inferiorità e non di parità.

    Comunque per darti un esempio di mancanza di fiducia in se stessa al più alto livello ti citerei Simone Weil a cui Chirac aveva appena proposto il portafoglio di Ministro della Sanità. Stupefatta fu inizialmente colta dal pensiero seguente: “molto bene, sono diventata Ministo. Ma molto presto farò qualche gaffe enorme e non durerò a lungo”. Il complesso di Cenerentola ha la vita dura. Un uomo accetta un lavoro se stima che ha il 50% delle competenze. Una donna l’80%!

    SR: E’ incredibile! E secondo te perchè le donne sovrainvestono?

    BG: Le donne cercano disperatamente un riconoscimento, fanno sempre di più e si arenano su ogni spiaggia. Gli uomini invece adottano la strategie PRG: Pranzo, Rete e Golf. Sanno tutto quello che sta succedendo e sono pronti a muoversi in ogni momento. Sempre informati tra sport, pranzi e chiacchiere sono pronti a sollevare la qualsiasi sfida mentre le donne accumulano ore di studio e lavoro, non recuperano e gestiscono pure casa e bambini.

    SR: Ci saranno pure donne che si auto-stimano! E valorizzano il loro lavoro.

    BG: Certamente ma non è di sicuro la norma, per una Anne Lauvergeon (ex Amministratrice Delegata di Areva) che spiega come è importante fare delle pause per ad esempio fare degli acquisti futili, quante donne sono capaci di chiedere un aumento di stipendio senza batter ciglio? Il rapporto delle donne con il denaro è strano. A forza di fare volontariato per figli e genitori sono quasi grate se gli danno uno stipendio minimo in ufficio. Che prede facili per i loro capi abiutati a gestire aggressive domande di aumento dei loro dipendenti maschi!

    SR: Ma in fondo da dove nasce il sessimo ordinario, è lagato ad aspetti culturali o tradizionali?

    BG: E’ legato al tranello del tempo. L’arrivo o solo la minaccia di un bambino scatena un bombardamento di reazioni di sessismo ordinario, una follia omicidia degli uomini legata a quello che bisogna riconoscere essere per la nostra società “il delitto di maternità”.

    La maternità fa scattare la disuguaglianza maggiore tra uomini e donne sulla gestione del tempo. Per un datore di lavoro una madre diventa l’epitomo dei “tre non”: non flessibile, non disponibile, non mobile. Sceglieranno uomini meno qualificati piuttosto che affidare missioni a donne che hanno figli. E’ ovvio che le donne dovranno prendere un congedo di maternità, uscire prima dall’ufficio e magari chiederanno pure il part-time. Per gli uomini queste sono delle ragioni valide per escluderle definitivamente dalle promozioni, per le donne è solo una parentesi prima di tornare ad un impegno pieno.
    Invece, non credo che ci si possa opporre all’assunzione delle donne adducendo la motivazione che per 32 settimane su 2080, cioè 1.5% del tempo lavorativo di un’intera vita, saranno in congedo di maternità. La società non ha ancora compreso l’enorme sconvolgimento rappresentato dall’ingresso delle donne nel mondo del lavoro e non è stata in grado di adattarsi.

    SR: Brigitte non ti sei comunque limitata a descrive con molto umorismo i difficili rapporti tra uomini e donne nel mondo del lavoro, ci hai dato degli strumenti per reagire al sessismo ordinario!

    BG: Si penso che sia giunto ormai il tempo di entrare in resistenza e di forgiare strumenti per combattere la discriminazione.

    SR: Quali sono i tuoi consigli?

    BG: La prima regola è di ottenere la legittimazione sul posto di lavoro. Questo implica di mostrarsi sicure, cortesi ma distanti. Evitare le trappole dell’estrema affabiltà che porta le donne ad occupare posti di apri-pista per il passaggio degli uomini o di assoluta freddezza che non consente di stabilire rapporti con i colleghi.

    SR: E’ vero, quello che più difficile comunque è parlare in pubblico.

    BG: Siamo chiare gli uomini sono modelli dell’ars oratoria che non facilmente cedono la parola. Ma dobbiamo farci sentire creando nuovi modelli di eloqueza femminile. Mai cedere sul farsi sentire. Spesso non è necessario alzare troppo la posta, si comincia fissandosi delle picocle mete come ad esempio oggi parlo per un minuto. Questo è facile e incoraggia a fare di più.

    Il linguaggio è molto importante: le donne spesso accompagnano i loro interventi di formule di scusa, con un vocabolario riduttivo. Hai mai notato? Gli uomini utilizzano l’indicativo e l’imperativo le donne invece il condizionale.

    Ho conosciuto una giovane donna che lavora in un’ambiente maschile, pure piccolina! Ha definito una sua strategia di attacco: dà una stretta di mano brutale, lei dice “alla ussarda” fissando l’avversario negli occhi senza sorridere e con voce molto forte e sicura recita: “Buongiorno signore!”, l’effetto è radicale la vedono e la sentono tutti.

    SR: Tutte ussarde? Non credi che sia un pò eccessivo?

    BG: Bisogna cambiare il gioco relazionale invece del vittimismo bisogna corrazzarsi contro il nemico. Bisogna saper analizzarsi e agitare il campanello di allarme al primo disagio.

    Prima regola: non esporsi agli attacchi e non arrecarsi sullo scoglio dell’ingenuità. Bisogna conoscere i propri limiti e bisogni. Dobbiamo allo stesso tempo essere in grado di soddisfare il nostro bisogno di riconoscimento e sapere avvertire l’arrivo di un disagio. Le donne troppo spesso negano i loro sentimenti e tendono a resistere. Spesso dichiarano “non voglio fare la figura della rompi-scatole”. Le donne si devono arrogare il diritto di arrabbiarsi anche se questo spesso non fa parte del repertorio dell’educazione femminile.

    SR: Cosa faccio sbarco nell’ufficio del mio capo e gli faccio una piazzata?

    BG: Sarebbe assolutamente contro producente. Bisogna invece sapere mettere in moto il disinnescamento dell’oppressione subita. Non è facile perchè il sessismo ordinario lo subiamo spesso diventando delle vittime e facendoci proteggere da lavori considerati non a rischio, innescando un meccanismo inarrestabile di esclusione.

    SR: Non capisco come si riesce ad uscire fuori da questo buco nero.

    BG: Prova a non entrarci, ma se ci sei, devi riuscire a decodificare i tuoi sentimenti in maniera pratica e concreta. Invece di dire: “oddio! sono troppo sensibile, non c’e la farò mai”, dici: ” Cosa ho detto in riunione che ha potuto scatenare quelle reazioni che mi hanno fatto male? Come e cosa rispondo la prossima volta?” Fatti aiutare da un collega o amico al di fuori di ogni sospetto.

    SR: In altre parole devo prendere una certa distanza dalle mie emozioni?

    BG: Proprio cosi! Devi reagire ma non a caldo. Nella tua risposta non devi essere né sottomessa né scontrosa o troppo audace, un’esercizio difficile. Ma sopratutto devi affrontare il problema, non ti devi fare quei film da bambina tipo: “si scuseranno, hanno bisogno di me”. Con questo tipo di sentimentalismo non andrai da nessuna parte.

    SR: Mi devo fare uno scudo. Mi metto una giacca e immagino che sia una corrazza che mi protegge.

    BG: Ecco, questo è molto positivo ti devi creare delle immagini che ti rendono meno vulnerabile sopratutto nei confronti di te stessa. Un’altra cosa che devi fare è uscire dagli sterotipi creati dagli uomini per controllarti meglio. “Stupiscimi” Deve essere l’imperativo che rivolgi a te stessa. Sii libera di creare la tua identità personale.

    SR: Mi devo immaginare direttrice d’orchestra, capitana di un transatlantico, amministratrice delegata di una multi-nazionale?

    BG: Magari! Ma quello che conta di più è di vederti come sei, capace di sostenere un argomento, forte nelle tue affermazioni, e smettere di pensare sempre: “no questo non lo sò fare”. Provaci! Probabilmente l’hai già fatto ma non te lo ricordi, ti ricordi solo quello che è andato di traverso.

    SR: Allora sono pronta per quello che chiami nel tuo libro la fase di combattimento?

    BG: Si, basta che non ti dimentichi il tuo professional make-up. Cosi si chiama la rete di contatti che ti devi fare e sulla quale devi lavorare. Almeno 20 minuti al giorno. Ma visto che sei cosi impaziente di entrare nella fase di combattimento ti consiglio di privilegiare il confronto (e non lo scontro come potrai leggere nel mio libro).

    In altre parole, dovresti smorzare i toni del dibattito e abbassare le difese. Devi capire che donne e uomini non hanno gli stessi codici di riferimento e non elaborano le stesse risposte ai diversi stimoli ricevuti. Perciò dovrai trovare dei rimedi all’altezza di queste discordanze. Bisogna riuscire a fare arretrare il nemico senza fargli perdere la faccia.

    SR: Se devo confrontarmi con stereotipi millenari non vedo come posso farlo senza realizzare un profondo cambiamento nel carattere del mio avversario, opzione che reputo praticamente impossibile Brigitte!

    BG: Solite storie, ti fissi una meta troppo alta! Mica devi realizzare una conversione per portarlo sul sentiero del femminisnmo questo signore. Devi riorientarlo. Fare capire il tuo disaccordo ma senza ferirlo. Trovi delle frasi introduttive che gli fanno capire che non sei d’accordo: “rimango stupita….”, “forse non mi sono espressa con sufficiente chiarezza”.

    Ad un suo capo che la presentò ai suoi colleghi nel modo seguente: “ed ecco la nostra bambina” una giovane comandante rispose: “mi chiamo Nathalie e vi chiederei di chiamarmi per nome o comunque con un appellativo adeguato al mio status gerarchico”.

    SR. Ok mettiamo pure che ho disinnescato la bomba aggirandola, ma se è un atteggiamento ricorrente, come quello di quei capi che ti buttano lì ogni giorno il loro veleno in faccia, che devo fare?

    BG: Sai che i capi, sopratutto con le donne, sono convinti che sono buoni? Devi prenderli nella trappola della loro immaginarià bontà. Devi mettere in atto una strategia di risveglio della loro sensibilità. E’ una strategia che funziona in due fasi: la prima fase consiste nel fare complimenti al tuo capo, facendogli vedere appunto quanto è bravo. Poi passi alla seconda fase il giorno in cui devi fare accettare una tua richiesta come ad esempio: ” Ma uno come Lei che ha sempre tanto perorato la cause delle donne, il part-time sicuramente lo concede alla nuova arrivata?” Devi preparare il terreno è ovvio, regolarmente facendogli capire che apprezzi la sua gestione, quanto è valorizzante per una donna lavorare per lui e cosi via. Non è una cosa che fai in 5 minuti, ci devi investire. Nel clima che sei riuscita a stabilire diventa difficile per un capo rifiutare questa tua richiesta perchè andrebbe contro l’idea che si fa di se stesso e della sua presunta bontà.

    SR: Non mi hai convinta, secondo me i capi nella maggiore parte dei casi non hanno tutte queste considerazioni e non ti rispondono nemmeno, in Italia spesso è così.

    BG: Certo che non sei un’allieva facile! E questo tuo modo di arroccarsi su delle affermazioni relative al tuo Paese non fanno altro che ingessare ulteriormente la situazione. Se tu non sei pronta a cambiare, non puoi immaginarti di cambiare le tue relazioni lavorative. Comunque, mettiamo pure che i capi in Italia non si sentano “buoni”. Ci sono altre strategie.

    SR: Sentiamo un pò che cosa si sono inventate le nostre cugine transalpine? Magari invitano il capo a pranzo e gli fanno vedere come sanno scegliere bene il vino?

    BG: Vedi che quando vuoi ti vengono le idee? E’ un’iniziativa che puoi inserire in una strategia più generale di tecnica delle richieste decrescenti o quella del principio di coerenza. Sono delle tecniche di vendita che funzionano da sempre.

    Fai una richiesta molto intraprendente al tuo capo. Ad esempio: “Roberto, ho pensato di cambiare il nostro approccio con i nostri maggiori clienti, vorrei incontrarli e proporgli un orientamento diverso”. “Ma, Serena non se ne parla neppure abbiamo deciso di mantenere questo orientamento e poi questi sono contatti del mio livello, semmai dovrei essere io a fare una proposta del genere”. “Allora che ne pensi se per evitare di trovarmi in queste situazioni andassi alle riunioni di coordinamento che organizzi ogni giovedì?”. Il tuo obbiettivo vero era di andare alla riunione, avendo rifiutato la prima richiesta, si sente in obbligo di accettare la seconda.

    Il principio di coerenza invece consiste nel creare una consuetudine nella mente dell’altro, facendo delle piccole richieste con lo stesso scopo, magari con un alto contenuto morale, prima di fare una richiesta importante che il capo a questo punto non può più rifiutare. Ottenere ad esempio che rappresenti le richieste le più minime delle donne al Consiglio di Direzione. Il giorno in cui c’è una domanda seria da fare ad esempio il piano di promozione delle donne all’interno dell’impresa, gli sarà praticamente impossibile rifiutare.

    SR: Mi sembra già più fattibile. Ma davvero voi in Francia vi mettete a fare delle strategie trà donne per ottenere la parità salariale?

    BG: E perchè no? E un diritto anche in Italia! Quando vi date una svegliata ragazze?

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