Anna Maria Comito, un “Commendatore” al servizio degli altri.

    Abbiamo incontrato la Dott.ssa Comito dopo averla ascoltata nel corso della iniziativa sui “Familiari assistenti” (v. Blog). Inoltre sapevamo della onorificenza con cui era stata premiata nel 2009 dal Presidente della Repubblica, Ordine al merito per le benemerenze acquisite nel campo sociale ma anche culturale.
    Come ha reagito quando ha saputo del Premio?
    A.C.: L’ho appreso a sorpresa, mi trovavo all’estero per un impegno con la COFACE-handicap (Confederazione delle Organizzazioni di famiglie con persone disabili dell’ Unione Europea con sede a Bruxelles) e mio marito mi ha chiamata per dirmi di rientrare subito, di fatto mi sono sentita catapultata dentro l’evento!
    E’ stato un momento che in qualche modo ha coronato un lungo percorso?
    A.C.: Ho iniziato nel 1979 con una Associazione (U.FH.A.), composta da quattro giovanissime mamme che come me dovevano affrontare una vita quotidiana difficile. L’Associazione non aveva connotazioni politiche naturalmente e fu protagonista di grandi battaglie perché si rivolgeva a tutti. Così riuscimmo a portare all’attenzione il primo testo di quello che sarebbe divenuto l’art. 33 della Legge 104, il primo servizio di assistenza domiciliare nel Lazio, l’indennità di accompagnamento per le persone non deambulanti…ecc… .
    Quale fu la spinta iniziale di queste prime lotte in Italia?
    A.C.: Sono cresciuta in Francia e ho studiato lì “Scienze sociali e salute pubblica” alla Sorbonne e poi mi sono specializzata a Nancy. Allo stesso tempo era naturale che si fosse impegnati nel volontariato, mi occupavo di ragazze madri e anche di emigrati e per questo studiavo lo spagnolo. Quando mi sono sposata sono venuta a vivere in Italia, la nascita di mia figlia ha reso la mia vita ancora più intensa e l’ha cambiata. Clelia era tetraplegica e sorda, la prima volta che l’accompagnai a scuola l’impatto con la realtà fu duro. Io avevo preparato il suo inserimento nella scuola già da un anno ma quando arrivammo lì il primo giorno non c’era la sua sedia ad aspettarla. Io misi la bambina in braccio alla maestra, sottolineando che nessun bambino si portava da casa la sedia e così come gli altri bambini mia figlia aveva diritto alla sua sedia. Lei mi rispose che gli altri bambini disabili restavano in carrozzina. Pretesi di parlare col Preside, i finanziamenti per far fronte a quelle problematiche erano previsti, dunque perché mia figlia non doveva avere il diritto di essere degnamente accolta? La maestra comprese subito e così le altre mamme, con cui appunto iniziai un lungo percorso ai fini della integrazione scolastica, per lo sviluppo di servizi sul territorio di qualità per le persone con disabilità e le loro famiglie, ma soprattutto per il riconoscimento giuridico del lavoro di cura.
    Allora avete avuto la giusta attenzione da parte della opinione pubblica e delle istituzioni?
    A.C.: Fu perfino realizzato un film tv da parte della RAI, “La sedia per Clelia”, poi nel 1981 fui ospite del programma di Maurizio Costanzo, lì diedi l’annuncio che ci saremmo rivolte alla Corte di Strasburgo. La puntata ebbe un grande successo e le persone mi fermavano per strada per sapere. Nel frattempo la proposta di estendere i congedi parentali ai familiari che assistono i propri cari non autosufficienti fu da noi presentata a tutte le forze politiche. Andammo a parlare anche con le femministe all’ora riunite a Via del Governo Vecchio.
    Come reagirono queste ultime e quale supporto vi diedero?
    A.C.: Non avemmo una buona accoglienza, semplicemente loro non erano interessate, la loro lotta era “contro” e non certo “per”. Ma per me era chiaro già d’allora che senza una risposta adeguata dello Stato e delle istituzioni alla necessità di servizi di qualità per le famiglie non ci sarebbe nemmeno mai stata la possibilità di una vera parità fra uomini e donne.
    L’articolo 33 della Legge 104, che riconosce finalmente una serie di diritti alle persone non autosufficienti e ai loro familiari, è del 1992, come mai trascorse così tanto tempo prima di vederla approvata?
    A.C.: Ogni volta che doveva passare la Legge, quando sembrava che stavamo proprio per farcela, il Governo in carica cadeva!
    Lei però non ha mai rinunciato a misurarsi per l’approvazione di quei diritti di cittadinanza che sono l’indice di civiltà di una comunità! E nel frattempo lei non ha più pensato alla possibilità di lavorare?
    A.C.: anche in questo caso ho dovuto lottare per il riconoscimento dei miei titoli di studio. Mia figlia aveva otto anni e nel frattempo era nato mio figlio. Io avevo partecipato ad un concorso e avevo vinto ma a quel punto mi sembrava impossibile accedere al lavoro ed avevo preparato una lettera di dimissioni. Il direttore del personale m’impedì di presentarla e mio marito m’incoraggiò ad intraprendere il tirocinio di sei mesi. Potevo contare sui congedi per mio figlio in base alla Legge 1204 ma per l’assistenza che io prestavo alla mia bambina non c’era ancora alcuna possibilità di essere supportate.
    La condivisione dei problemi con suo marito è stata dunque importante?
    A.C.: Si certo, l’apporto di mio marito è stato fondamentale, lui è calabrese ma la sua mentalità è sempre stata aperta. Io lo conobbi in Francia nel momento in cui lui vi si recò per un breve stage, da allora non ci siamo più lasciati.
    Fa piacere constatare ancora una volta che spesso l’appoggio del proprio partner consente ad una donna di affrontare e raggiungere con successo i propri obiettivi. E nell’ambiente di lavoro invece come è andata?
    A.C.: Ricordo con dispiacere alcuni episodi, ma soltanto all’inizio, quando per es. mi capitava di ritrovarmi con i colleghi davanti la macchinetta del caffé e ascoltavo il modo in cui venivano supportati con simpatia quelli che magari il giorno prima erano stati a ballare ed erano stanchi e assonnati, per cui gli altri si offrivano di sostituirlo nelle mansioni, mentre della mia stanchezza nessuno si preoccupava. Io quotidianamente non sarei mai uscita di casa se prima mia figlia non aveva preso la sua tazza di latte che le somministravo a piccoli cucchiaini, avendo problemi di deglutizione, ci mettevo anche un ora , se non di più. Un compito defatigante che non avrei mai potuto delegare a nessuno, senza dimenticare che nella notte mi ero svegliata almeno dieci volte…
    Infine la legge è arrivata a sanare e a riconoscere in parte la realtà del lavoro di cura. Ma i suoi rapporti con la COFACE- handicap europea con sede a Bruxelles come si sono sviluppati?
    A.C.: Si le battaglie portate avanti senza sosta si sono tradotte in Italia non solo nell’art. 33 della L. 104 ma anche nell’art. 80 della Legge 388/2000 (diritto di usufruire di due anni di prepensionamento o di congedi frazionati). Ho conosciuto la COFACE nel ’94° a Bonn nel corso di una conferenza sulla conciliazione tra vita professionale e vita familiare, promossa dal Ministero del Lavoro tedesco. In quella occasione ho presentato l’articolo 33 della legge 104/92, primo passo per il riconoscimento del lavoro di cura svolto dal familiare assistente lavoratore. Di seguito una rappresentanza di COFACE venne in Italia a partecipare ad un convegno sulla integrazione scolastica, dove io intervenni per sostenere diverse proposte.
    Nel 1998 ne divenni la Presidente.
    Nel 2007 COFACE-Handicap ha redatto, dopo studi comparativi effettuati in 15 Stati Membri, la “Carta Europea del Familiare Assistente”. Nel 2008 per dare un seguito e più forza alla carta europea, come avvenne in tutti gli Stati Membri, ho fondato Co.Fa.As. “Clelia”(Coordinamento Familiari Assistenti “Clelia”).

    Una vita spesa nella lotta per i diritti per il progresso civile. Ha mai avuto dei momenti di incertezza o di ripensamento?
    A.C.: Per la verità ricordo con un certo divertimento il giorno che mi ritrovai ad una cena privata durante la quale uno dei commensali ebbe a lamentarsi delle tante donne che usufruivano di congedi o permessi per la cura dei propri cari, e addirittura si chiese a chi poteva essere venuto in mente di promuovere le leggi che le tutelavano. Con un qualche imbarazzo ma con franchezza risposi che stavamo parlando di diritti fondamentali e che se qualcuno ne approfittava non era certo colpa delle leggi. Rispondendo alla sua domanda non ho mai avuto un ripensamento, al contrario vorrei fare di più in particolare per sostenere i familiari che si prendono cura di congiunti totalmente non autosufficienti, che spesso vivono una grande solitudine ed abbandono.
    Oggi c’è ancora molto lavoro da fare?
    A.C.: Dal punto di vista normativo l’Italia ha delle buone leggi e due anni di studi comparativi da noi condotti in Europa, nel confronto con le leggi degli altri Stati, lo hanno dimostrato. Però in Europa la modulazione e l’intervento applicativo è più curato. Per es. gli assegni d’indennità, i servizi vengono erogati in base alla gravità della disabilità . Inoltre dobbiamo ancora insistere al fine che i lavoratori nel settore privato, e soprattutto alle donne sempre in maggioranza, possono usufruire senza paura di licenziamento degli stessi diritti dei lavoratori pubblici. Ma questo ripeto, dipende comunque dal fatto che non c’è ancora il riconoscimento giuridico del lavoro di cura. In Francia e in alcuni Paesi europei da alcuni anni il lavoro di cura è riconosciuto.
    C’è un motivo per cui da noi si è rallentato questo processo innovativo e sacrosanto di riconoscimento dei diritti? Addirittura adesso viene perfino decurtato il fondo per la non autosufficienza!
    A.C.:In Francia dal 1948 e così in alcuni Stati, le associazioni di famiglie sono molto unite. Questa grande unità le aiuta nella loro capacità di influenzare le scelte governative. Inoltre la sensibilizzazione culturale è più diffusa. In questo senso, anche se sono stati fatti grandi passi, in Italia ,bisognerebbe potenziare l’ informazione e la sensibilizzazione dei cittadini verso i bisogni delle persone con disabilità e delle loro famiglie nei luoghi di lavoro, nelle scuole e nella società.

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