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di Nicoletta Bevilacqua.
L’articolo del Guardian fa il punto sulle nuove norme adottate dal governo britannico per ridurre il gap retributivo di genere. Raccogliendo le dichiarazioni e opinioni di esponenti governativi e non, si evidenziano gli aspetti positivi, a cominciare dal carattere obbligatorio della pubblicazione dei dati sui differenziali retributivi (compresi i benefit), per tutte le imprese con più di 250 addetti. Si evidenziano, d’altra parte, alcuni dubbi e critiche che riguardano soprattutto la entrata in vigore dei provvedimenti solo a partire dal 2018 e l’entità degli stanziamenti previsti a favore delle imprese per sostenere i costi di pubblicazione e altre spese correlate.
The Guardian, in un articolo del 22 marzo scorso di Kistie Brewer, riporta la notizia che il governo inglese ha introdotto misure per ridurre il gap retributivo di genere del 20%. Misure ritenute di grande rilievo secondo alcuni rappresentanti politici, ma che suscitano anche dubbi e critiche da parte di altri testimoni privilegiati intervistati.
Il Women’s Equality Party (WE), ad esempio, ha realizzato un video che non è in linea con la posizione “celebrativa” ufficiale, ritenendo, come fa osservare Sophie Walker che è stata candidata alla carica di sindaco di Londra, che “è un po’ una barzelletta che un divario retributivo del 20% persista, 45 anni dopo l’approvazione della legge sulla parità delle retribuzioni”.
Il ministro sulla eguaglianza di genere, Caroline Dinenage ribadisce invece che le misure adottate sono il risultato di una decisa presa di posizione del governo su questo tema e che dopo sei anni di discussione si è finalmente riusciti a rendere obbligatoria per le aziende con più di 250 dipendenti la pubblicazione dei dati relativi alle differenze retributive tra uomini e donne, che permetteranno di riconoscere gli aspetti positivi come pure di rilevare le trasgressioni alle nuove regole.
Jo Swinson, ex ministro liberaldemocratico che si è battuta nel precedente governo di coalizione per fare approvare queste misure, è soddisfatta che il nuovo governo le abbia varate, e fa rimarcare in positivo che esse comprendano anche i bonus, per i quali la differenza di trattamento tra donne e uomini è particolarmente accentuata.
Swinson accoglie anche favorevolmente la richiesta ai datori di lavoro di pubblicare i dati medi sui differenziali di retribuzione per genere e la loro suddivisione in quattro fasce di retribuzione, dalle quali sarà possibile comprendere anche se i divari sono dovuti alla maggiore presenza degli uomini nei livelli di lavoro più alti o alla concentrazione maggiore delle donne nei settori a basso reddito.
Tuttavia, ci sono alcuni aspetti della iniziativa del governo che non appaiono ancora soddisfacenti.
Il ministro Nicky Morgan, che ha dato per primo la notizia a febbraio sulle nuove norme, ritiene che esse eserciteranno un notevole impatto. Ma l’articolo fa notare in proposito che la pubblicazione dei dati è prevista dal 2018 e non si comprende la ragione per la quale il precedente governo di coalizione avesse optato per la segnalazione volontaria dei differenziali retributivi.
Il piano “Pensare, Agire”, lanciato nel 2011, come sottolinea Kate Green, ministro ombra per l’eguaglianza di genere, ha del resto prodotto risultati molto modesti, dal momento che solo 5 aziende (Tesco, Friends Life, PwC, AstraZeneca and Genesis Housing) hanno poi pubblicato i dati nonostante più di 200 imprese avessero aderito ai principi dell’iniziativa.
Secondo Sophie Walker è dunque ‘troppo poco, troppo tardi, e il piano del governo manca di ambizione”. La sua opinione è che serva invece una azione immediata delle imprese per dare piena trasparenza a tutti i dati sulle retribuzioni, che riguardino non solo il genere, ma anche l’appartenenza etnica dei lavoratori e la disabilità.
Un altro aspetto significativo che viene fatto rilevare riguarda la necessità di poter leggere correttamente i dati disponendo di tutti gli elementi utili per interpretarli, sulla base di informazioni date dalle aziende sul loro contesto organizzativo. Sarebbe importante, secondo Swinson, capire perché esistano divari retributivi e quali piani le aziende intendano adottare per affrontare il problema, anche se ritiene che molte tra esse cercheranno volontariamente di dare informazioni soddisfacenti.
Il Ministro Dinenage ribatte che il governo sarà fortemente impegnato a incoraggiare i datori di lavoro affinchè forniscano tutte le informazioni utili anche in merito alle azioni intraprese per affrontare il problema, ma ciò non avrà carattere obbligatorio.
Ci si chiede poi quali siano gli strumenti di sostegno più idonei da offrire alle imprese per incoraggiare il cambiamento, considerato che l’iniziativa riguarderà circa 8.000 datori di lavoro e che il governo inglese ha previsto 500.000 sterline per aiutarli a sostenere i costi di pubblicazione dei dati, come pure il costo di eventi di pubblicizzazione, software on line e supporti mirati per alcuni settori (Science, Technology, Engineering and Mathematics).
Nella opinione di Sophie Walker tale stanziamento è tuttavia piuttosto esiguo se si considera quale potrebbe essere l’impatto aggiuntivo sulla economia se si riuscisse, anche sulla base dei dati OCSE, a liberare entro il 2030 il potenziale delle donne. Come pure sarebbe auspicabile, come avvenuto altrove, educare e sostenere le imprese più piccole a risolvere il problema dei divari retributivi di genere troppo elevati.
Un ulteriore fattore sul quale ci si interroga concerne la incidenza della mancata pubblicazione da parte delle aziende sulla loro reputazione.
Dinenage si dice convinta che tale rischio favorirà il coinvolgimento delle aziende, discriminando quelle che non stanno prendendo sul serio il problema, rispetto a quelle che adottano comportamenti positivi da rendere noti ai consumatori per influenzarne le scelte di acquisto.
Swinson concorda sul fatto che l’impatto reputazionale è probabile sia la leva più forte, ma sostiene che sarebbe stato utile, al tempo stesso, che il governo avesse dato una maggiore incisività a tale fattore. Nel frattempo si augura che sia data priorità ai contratti governativi con le aziende che adottano criteri di parità di trattamento. Sarà comunque determinante verificare di anno in anno in quale misura il divario di trattamento verrà a ridursi.
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