Osservatorio di PAVIA Media Research
Punti chiave
Conclusione:
occorrono azioni concrete che favoriscano effettivamente le pari opportunità equità di genere tra i candidati nelle liste (es. regole di par condicio nei media).
SINTESI
Articolo Campagna elettorale europee 2009: visibilità femminile nei programmi RAI.
(Osservatorio di PAVIA Media Research)
Le ultime elezioni politiche europee confermano il forte squilibrio di genere che caratterizza il mondo politico: al Parlamento Europeo la rappresentanza femminile italiana è del 25%,un vero e proprio gap rappresentativo della popolazione del nostro Paese dove le donne sono il 51%.
Lo svantaggio sembra avere dei “peccati di origine”: “In lista molti professionisti e poche donne” – titolava il Sole 24 Ore in un articolo alla vigilia delle elezioni. L’analisi delle 828 candidature italiane al Parlamento Europeo mostrava infatti che il candidato italiano tipo risultava essere “professionista, cinquantenne, maschio”, con una rappresentanza femminile ferma al 32%.
Dalle liste ai seggi si è quindi avuta una perdita di ben sette punti percentuali.
Lo svantaggio femminile trova certamente spiegazione nel voto (“Perché le donne non votano le donne?”), ma probabilmente anche in altri fattori: meccanismi di formazione delle liste e ripartizione dei seggi ad esempio, candidature plurime dei leader capilista maschi.
Una riflessione ci è venuta spontanea: nella società dell’informazione e dei media, la Televisione che ruolo ha giocato?
Certamente in tema di visibilità delle donne candidate la TV non sembra avere aiutato.
I dati forniti da TSN Opinion, evidenziano che, nei 37 giorni precedenti la campagna elettorale, le donne hanno occupato solo il 10.8% del tempo complessivo dedicato alla campagna politica dei singoli candidati sulle emittenti RAI, persino in leggera flessione rispetto alle politiche dello scorso anno (11,8%).
Analizzando le distribuzione del tempo di parola fra donne e uomini per genere di programma, emerge che le candidate hanno trovato più spazio in programmi tradizionalmente aperti alle donne (testate TSP – Tribune e Servizi Parlamentari) ma anche, in aumento rispetto al passato, nelle rubriche di informazione specialistica TG (14% del tempo totale di categoria). L’informazione, con i programmi di approfondimento (tipo Ballarò, Porta a Porta) hanno mostrato un’accoglienza femminile maggiore della media (13,5%). Si attestano sotto la media, invece, le trasmissioni “a carattere istituzionale (9,5%), più direttamente gestite dai Partiti che generalmente preferiscono farsi rappresentare dai leader di partito (quasi sempre uomini), e i notiziari (5,1%,).
I diversi Partiti inoltre hanno avuto comportamenti diversificati nella distribuzione del tempo di parola tra donne e uomini candidati: sopra la media PD e gli”altri partiti” (i cosiddetti “minori”) con il 16,7% seguiti dal PDL (11,4%). Lega Nord e Lista di Pietro balzano invece decisamente sotto la media rispettivamente con un 5,1% e 1,5%. Emblematici l’ UdC con un’assenza totale delle donne e le “Istituzionali” (Presidente della Camera/Senato, Commissari Europei,…). In quest’ultimo caso la ragione è chiara: oggi nella realtà politica italiana semplicemente non esistono “donne istituzionali”.
Riguardo distribuzione del tempo di parola tra i primi dieci candidati maschi e femmine, le prime due candidate (Bonino e Melchiorre) hanno concentrato circa il 37% dello spazio dedicato alle donne, mentre i primi due candidati maschi cumulano il 20.8%, lasciando ben un 55,9% agli altri candidati dopo il decimo (per le donne invece tale percentuale scende al 27%).
I dati dunque evidenziano una netta differenziazione nella comunicazione televisiva di genere nelle ultime politiche: le donne, oltre ad avere avuto una presenza nettamente inferiore sulle Reti Nazionali, questa è stata concentrata su poche donne, a fronte di una presenza maschile maggiormente distribuita e plurima sui diversi candidati oltre che decisamente superiore in termini temporali assoluti.
La situazione che emerge, sebbene mostri qualche segnale migliorativo rispetto al passato, conferma ancora differenze di genere evidenti e inaccettabili:
se il 25% di rappresentanza in sede di parlamento UE è già di per sé insoddisfacente viene il dubbio che un ruolo importante l’abbia giocato anche la televisione italiana per modalità e tempi di presenza dedicati, evidentemente discriminanti.
In una società in cui l’influenza dei media, TV in primis, sulla popolazione è innegabile, il 10% di rappresentazione delle candidate donne penalizza ulteriormente una situazione di partenza spesso già non equa. Quali sarebbero stati i risultati con una rappresentazione più “adeguata”?
I fatti dimostrano che non sono sufficienti le attuali prassi di inserimento di “quote” di donne nelle liste se non sono accompagnate anche da azioni più incisive che favoriscano realmente le pari opportunità di genere: in tal senso l’introduzione di regole di par condicio uomo/donna nella rappresentazione in TV e sui media – sarebbe un segnale concreto e reale della la volontà di riduzione del gap di genere in politica.
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