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In Italia, quasi una donna su quattro, a due anni dalla nascita del primo figlio, esce dal mercato del lavoro (Fonte).
La ragione di questo alto tasso d’abbandono spesso è identificabile nella difficoltà di conciliare i tempi di lavoro in modo da renderli più adeguati ai bisogni familiari.
In tale contesto si inserisce uno dei decreti attuativi del Job’s Act, che contiene misure per la tutela della maternità e per la conciliazione delle esigenze di cura, vita e lavoro.
Ad oggi, difatti, in Italia il congedo paternità (inteso come quello dedicato al padre, non sostitutivo a quello materno) rimane di un solo giorno. Anche i congedi facoltativi, nonostante vadano a beneficio di entrambi i genitori, sono utilizzati quasi esclusivamente dalle donne.
Questo dato si ripercuote in generale su tutte le attività di cura dei bambini (malattia, impegni scolastici, etc.), ed è ragionevole ipotizzare che, alla luce della timidezza delle misure varate, così continuerà ad essere per il futuro. Le statistiche effettuate sui paesi scandinavi, mostrano che i padri che hanno preso un congedo paternità condividono poi maggiormente i compiti di cura dei bambini.
Le misure del Job’s Act che aumentano congedi e permessi in assenza di concomitanti iniziative per facilitare e favorire la condivisione con i padri, semplificheranno lo svolgimento di attività di cura, ma, nell’ attuale situazione italiana finiscono con lo scoraggiare le assunzioni femminili e penalizzare ancora una volta le donne sul luogo di lavoro. In un paese che vede uno dei tassi di impiego femminili più bassi in Europa, questo certo non è un obiettivo auspicabile. Occorrerebbero invece disposizioni che incentivino l’uso del congedo parentale anche da parte dei padri.
Una maggior tranquillità nella gestione della propria vita famigliare e la condivisione tra i genitori dei compiti di cura, difatti, avrebbe un effetto positivo anche sul tasso di natalità (Fonte).
In tal senso, basta rilevare che in Olanda, dove le politiche a favore del part-time hanno portato inizialmente la maggior parte delle donne a lavorare a metà tempo, i tassi di natalità sono rimasti comunque piuttosto bassi. Oggi il governo Olandese ha ricalibrato tale politica in modo da stimolare entrambi i genitori a prendere entrambi congedi parziali (1/4 o 1/5 del tempo lavorativo), proprio per favorire la conciliazione. D’altra parte, in paesi come la Francia, dove il congedo maternità è più breve che in Italia, non solo vi sono più donne attive nel mercato di lavoro, ma il tasso di natalità è il più alto d’Europa in gran parte grazie alla maggiore disponibilità di servizi alla persona e alla possibilità di detrazione per spese di cura.
Uno dei temi più importanti è sicuramente la decisione di attribuire dei fondi alla promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata per il triennio 2016-2018, una diposizione che dovrà essere tuttavia attuata dal Ministero del Lavoro secondo criteri e modalità da definire. Inoltre occorrerà aspettare l’attuazione dell’ultima parte del decreto, relativa alla destinazione di risorse per gli incentivi fiscali al lavoro femminile (tax credit), dal quale si vedrà se davvero il Governo intende investire sulle infrastrutture e i servizi sociali e capire se i bilanciamenti tra protezioni e incentivi siano a favore del rilancio del lavoro femminile.
Segnaliamo che la risoluzione Tarabella, è stata approvata proprio il 10 marzo dal parlamento europeo, e invita gli Stati Membri a prevedere “minimo” 10 giorni di congedo di paternità retribuito. Ci auguriamo che questo invito sia accolto dal nostro governo per realizzare questo importante passo avanti nel percorso verso la condivisione.
Abbiamo analizzato e valutato le clausole del decreto attuativo sulle “Deleghe al governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, vita e di lavoro.” Fornendo la posizione della nostra associazione su temi che consideriamo importanti per le donne:
L’articolo 2 prevede che in caso di nascita prematura i giorni prima del parto si aggiungono a quelli attuali che sono pari a cinque mesi.
Abbiamo trovato interessante che nel caso di ricovero del neonato la madre potrà sospendere il periodo di maternità e tornare al lavoro per godere del congedo di maternità alla data di dimissione del bambino.
L’Articolo 3 prevede che nel caso in cui il rapporto di lavoro venga interrotto, per le cause già previste dalla legge durante il periodo tutelato della maternità, la contribuzione di maternità/INPS sarà comunque dovuta. Questa disposizione salvaguarda la donna e il bambino anche quando è licenziata per colpa grave, cessazione dell’attività dell’azienda o scadenza del contratto.
Nei casi già previsti dalla legge, di morte, malattia grave, abbandono della madre, o affidamento esclusivo al padre, per i quali il padre può già ottenere una indennità, L’articolo 5 prevede che questa indennità venga attribuita al padre anche quando la madre è lavoratrice autonoma. Questa indennità si applica altresì quando il padre è lavoratore autonomo. Una disposizione a nostro parere positiva.
L’articolo 7 prevede, l’estensione del congedo parentale facoltativo retribuito (al 30%), in precedenza fruibile fino ai 3 anni del bambino, fino a 6 anni, nonché l’estensione del congedo facoltativo non retribuito dagli attuali 8 ai 12 anni dei bambini. In aggiunta, il congedo non retribuito può essere utilizzato anche su base oraria, e non solo su base giornaliera.
Sulla questione dell’estensione del congedo ai 12 anni la valutazione è positiva ma il provvedimento è modesto perché non modifica l’ammontare dell’indennità.
Vice-versa la fruizione del congedo ad ore, va in direzione di una maggiore flessibilità nella gestione della conciliazione lavoro-famiglia e consente altresì alla lavoratrice un rientro graduale al lavoro.
L’articolo 23 prevede un congedo di un periodo massimo di tre mesi per le vittime di violenza di genere inserite nei percorsi di protezione. Questa sospensione vale anche per le collaboratrici a progetto. Durante il congedo è dovuta l’intera retribuzione.
Ci chiediamo l’effettiva applicabilità di questo articolo in merito a chi paga la retribuzione dovuta (datore di lavoro, INPS) e quante sono le donne inserite in percorsi di recupero che effettivamente lavorano con regolare contratto.
L’articolo 24 prevede per il triennio 2016-2018, che dei fondi verranno attribuiti alla promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata. Criteri e modalità per l’utilizzo delle risorse saranno definiti dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Ulteriori azioni e modalità di intervento in materia di conciliazione saranno definite anche attraverso l’adozione di linee guida e modelli.
L’elaborazione delle linee guida provvede una cabina di regia di cui fanno parte tre rappresentanti designati dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro delegato per le politiche della famiglia, per le pari opportunità, per la semplificazione e la pubblica amministrazione, da un rappresentante designato dal Ministro dell’economia e delle finanze, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali che lo presiede.
Questa disposizione, tutta da elaborare, è sicuramente la più interessante del provvedimento. Ci auguriamo tuttavia che, sia che i fondi stanziati siano importanti visto il ritardo dell’Italia sulle misure di conciliazione, sia che la società civile possa essere coinvolta e soprattutto che i suoi pareri siano presi in considerazione.
L’articolo 25 precisa che tutte le disposizioni (tranne l’articolo 24) si applicano in via sperimentale solo per l’anno 2015.
Vista la difficoltà di valutare delle situazione complesse come il congedo per violenza o le conseguenze di licenziamenti questa disposizione rende fragile il provvedimento stesso. Ci si chiede anche cosa accadrà a dicembre del 2015 se la sperimentazione non è ricondotta, scade il provvedimento?
Nonostante quanto sopra vada verso l’obiettivo di consentire, o quanto meno facilitare, l’organizzazione dei tempi dei genitori tra lavoro e famiglia, lo sforzo risulta eccessivamente timido, e soprattutto, trascura un elemento fondamentale: la condivisione delle responsabilità tra genitori.
Ancora, è apprezzabile la possibilità di utilizzare i congedi più a lungo nella vita dei figli, tuttavia rimane il fatto che le esigenze di cura (e quindi di tempo) sono maggiormente sentite nei primi anni di vita, anche considerando la carenza patologica di strutture e servizi per la primissima infanzia a costi accessibili a tutti.
Anche la disponibilità del congedo su base oraria sembra un’occasione persa nel percorso verso la flessibilità dell’orario lavorativo: limitare il congedo al 50% dell’orario lavorativo, infatti, significa consentire qualche mese di part-time (presumibilmente per la donna), invece che dare la possibilità a entrambi i genitori, ad esempio, di prendersi “ciascuno” un’ora al giorno, in modo da poter andare a portare o prendere i figli all’asilo.
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