Con la nuova proposta di legge regionale n. 21 de 26-05-2010 per la Riforma e la riqualificazione dei Consultori Familiari non solo si contraddicono i principi e lo spirito della Legge nazionale sull’istituzione dei Consultori Familiari, ma di fatto si violano le norme costituzionali. L’articolato della legge è davvero preoccupante e affonda le sue ragioni in pregiudiziali principi di stampo pseudo cattolico a difesa della “famiglia”, a dispetto della salute della donna e delle sue scelte in quanto individuo e cittadina di uno stato laico.
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Se si legge la relazione iniziale a presentazione della proposta di legge ciò che emerge subito è il “furore ideologico” per cui i Consultori dovrebbero diventare il punto di riferimento per tutti quelli che operano col compito di vigilare sulla famiglia, fondata sul matrimonio “che si pone come primaria ed infungibile società naturale…realtà preesistente al diritto positivo…tutelata nelle sue fondamentali dimensioni dell’unità e della fecondità” e così via discorrendo. Come se in Italia non fossero mai avvenute quelle stesse battaglie di civiltà che hanno contraddistinto gli stati moderni e democratici, dal diritto delle donne all’aborto assistito, al divorzio ecc. Leggi fondamentali dello stato che sono nate appunto per tutelare la libertà degli individui e dei nuclei familiari, comunque essi vogliano scegliersi, costituirsi ed individuarsi.
Inoltre le istituzioni pubbliche diventano sussidiarie alle volontà del consorzio familiare e delle associazioni ed organizzazioni senza scopo di lucro che promuovono i valori familiari. Insomma avremmo dei guardiani di una famiglia supposta naturale, mentre spariscono i diritti e la tutela per la donna e non si fa menzione ad altri tipi di coppie.
Una vera controriforma che dovrebbe far riflettere soprattutto sul fatto che una legge presentata da una donna (Olimpia Tarzia) e che riguarda le donne vede mortificate appunto proprio le donne. Non a caso il dramma si consuma sotto gli occhi di un agone politico – quello dell’attuale Consiglio regionale del Lazio – quasi esclusivamente maschile. Ciò sottolinea e moltiplica i danni della scarsa rappresentanza femminile nei governi delle regioni, e in questo caso porta ad una proposta di legge palesemente contraria ai diritti delle donne, tanto faticosamente conquistati nei decenni.
L’aggravante è che tutto il pacchetto sarà promosso da finanziamenti che attiveranno un strano “commercio”, basta pensare all’ art. 13 per cui alle donne in difficoltà che vorrebbero abortire si propone un assegno, “a favore della donna e del figlio concepito” rinnovabile fino al quinto anno d’età, che “i consultori familiari di enti pubblici e di organismi non lucrativi possono richiedere alle autorità”, con un “percorso obbligatorio” che poi all’ art. 14 sfocia in un “obbligo morale” di rivolgersi al Consultorio Familiare. Senza entrare nel merito del ruolo che dovrebbero avere questi super consultori per i minori che vivono in famiglie disagiate (laddove all’ art. 25 si denuncia una mancanza di raccordo tra l’amministrazione giudiziaria e quella pubblica).
Sarebbe bastato tenere presente la legge della Regione Lombardia che quantomeno non attenta i principi costituzionali e le libertà individuali! Ma soprattutto ci chiediamo perché una “riqualificazione” di un servizio pubblico così essenziale debba passare attraverso il suo stravolgimento, piuttosto che a vantaggio del suo rafforzamento, sia in termini finanziari sia nell’ambito di una maggiore e libera presenza della istituzione pubblica e del consorzio sociale (volontariato, associazionismo ecc.) accanto ai bisogni della donna, dei minori e di tutti i nuclei familiari .
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