Presentazione romanzo ...
Esiste il momento giusto per innamorarsi? Esiste un'età ...
Come si spiega che ci siano così poche imprenditrici nella Silicon Valley rispetto ai vari Zuckemberg, Gates e Larry Page dei rispettivi colossi Facebook e Microsoft e Google?
Per capire perché cosi poche donne raggiungano il successo imprenditoriale, bisogna tenere conto degli ostacoli che giovani laureate ambiziose devono affrontare per avviare la propria start-up nella Valley. Prima di tutto, le wannabe imprenditrici devono affrontare un problema di “accesso” ai fondi degli investitori i quali sono per la maggior parte destinati a progetti presentati da uomini. Oltre ad avere meno chance di ricevere un finanziamento, ne ottengono considerevolmente di meno; le programmatrici Lauren Mosenthal e la sua partner Eileen Carey, ad esempio, hanno ottenuto 1/3 di quello che avevano sperato per mettere su loro start-up. Secondo alcune imprenditrici della Valley creare una rete d’investitrici donne e dare la priorità a quei fondi di investimenti in cui ci siano donne nei consigli di amministrazione, può facilitare le cose.
I dati provenienti dalla Silicon Valley sono scoraggianti. Il 96% degli investitori sono uomini (solo un numero in meno rispetto a vent’anni fa) e questo implica che il rimanente 4% destinerà considerevolmente meno fondi a progetti presentati da giovani donne, a prescindere da quanto la loro start-up venga ritenuta un ottimo investimento. Alle donne spetterà circa 1/5 di quanto destinato agli uomini, e saranno dunque costrette ad autofinanziarsi- come accade nell’80% dei casi alle imprenditrici. Proprio perché hanno meno possibilità di ottenere investimenti, le donne sono più determinate a convincere gli investitori durante i loro “pitch”, ossia le presentazioni del progetto per ottenere i fondi.
Fortunatamente alcuni investitori scelgono di valutare il potenziale piuttosto che il genere. Sebbene solo 2.7 % delle 6,517 compagnie che hanno ricevuto investimenti dal 2011 al 2013 avessero a capo donne, il Babson College ha riscontrato che le start up gestite da donne producono un 31% in più di profitti rispetto alle compagnie guidate da uomini. Alla domanda sul perché ci siano cosi poche imprenditrici di successo, molti investitori rispondono che il motivo è che le donne mollano gli studi a differenza degli uomini (in particolare nel tech industry e nell’informatica, i settori in cui si investe maggiormente nella Silicon Valley).
Jodi Kantor in un articolo del NY Times riferendosi alle sue colleghe del 1994 a Stanford conferma questa tesi affermando che molte donne con questo tipo di laurea hanno mollato, mentre gli uomini hanno proseguito facendo una fortuna con l’esplosione di internet. Sulla scia di Stop Blaming Women,sono quindi le donne che non hanno avuto il giusto intuito per gli affari lasciandosi scappare una carriera di successo? Se anche alcune di loro possano aver lasciato gli studi, questo non presuppone che sia corretto bloccare la strada alle giovani informatiche che hanno invece proseguito.
Altri investitori credono che una possibile spiegazione del perché ci siano cosi poche donne nella Valley sia che le donne non abbiano avuto la giusta formazione per mancanza di supervisori adatti.
Uno studio della Kauffman Foundation, attraverso un campione di 350 donne ha scoperto che con cosi poche donne all’interno dello staff si crea spesso un problema di “attrito” tra nuove e le vecchie generazioni (problema meno comune tra colleghi uomini), che impedisce alle donne di creare una sorta di solidarietà professionale che permetterebbe loro di formarsi in un ambiente più friendly.
Shanley Kane, una giovane esperta dell’industria tecnologica in un’intervista all’MIT Technology Review ha spiegato che le compagnie attuano un controllo mirato delle assunzioni delle donne, tenendo conto dell’età (più giovani sono meglio è) e del numero di donne da formare. Cosi facendo le loro “quote rosa” aumentano senza considerare di trascurare la formazione delle donne già assunte. Pensando di migliorare la loro reputazione di misogini maschilisti, i CEOs puntano intenzionalmente alla quantità più che alla qualità. La Kane afferma non veniamo assunte, non veniamo promosse, e siamo sistematicamente sbattute fuori dall’industria (tecnologica).
Un modo per risolvere questa competizione sfrenata tra donne è il Glassbreakers, un sistema di mentoring più orizzontale rispetto al tradizionale sistema verticale di formazione professionale. Il software sviluppato dalle già citate Carey e Monsenthal mette in contatto donne che hanno le stesse ambizioni lavorative in modo da scambiarsi consigli e informazioni su quel tipo di lavoro. Se da un lato Glassbreakers crea una piattaforma di connessione tra donne (risparmiando soldi e tempo a sistemi di formazione spesso meno efficaci), dall’altro esclude tassativamente il 50% dei potenziali clienti: gli uomini. Si tende quindi di rischiare di ghettizzarsi tra donne piuttosto che proporre soluzioni per promuovere il loro inserimento nel mondo imprenditoriale.
In un sistema prevalentemente dominato da uomini, uno dei problemi relativi all’esclusione delle donne dai piani alti è che gli uomini non sono quasi mai stati abituati a considerare le donne come colleghe professionali, ma sono invece abituati a vederle come mogli, figlie, e FORSE assistenti. Alcuni studi rivelano invece che avere delle donne “a bordo” aiuterebbe alcune start-up ad ampliare il proprio target di vendita. La presenza di donne all’interno della direzione infatti, aiuterebbe a vendere in modo più efficace prodotti destinati ad un pubblico femminile.
I primi investitori di Zuckemberg, Peter Thiel e David Sachs non hanno nascosto i loro commenti misogini quando scrivevano per The Review (il giornale dell’università di Stanford) definendo negativamente il femminismo.
I CEOs della Silicon Valley non ne fanno segreto giustificando numero ridotto di donne con delle frasi tipo avere una donna a bordo rende la compagnia una barzelletta. Dunque la discriminazione c’è, e Silicon Valley è teatro di sempre più numerose denunce contro quei CEO di Tinder, Snapchat o fondi di investimento per i loro commenti sessisti.
Quante volte poi, i meeting con i finanziatori vengono scambiati per appuntamenti semi galanti dagli uomini? Dopo innumerevoli incontri spiacevoli Carey ha sviluppato delle tecniche per evitare “incomprensioni”.
Tingersi i capelli marroni, evitare di vestirsi in modo provocante , farsi dare delle indicazioni sugli investitori e non bere agli incontri di lavoro sono alcuni dei consigli che Carey ha divulgato alle sue colleghe imprenditrici. Se da un lato le donne di oggi si aspettano il femminismo e per questo si aspettano di essere trattate equamente, Carey è consapevole di quanto siano comuni i commenti inappropriati nel suo ambiente lavorativo.
Che cosa fare dunque, oltre invitare le colleghe a denunciare il fatto ai superiori? Il problema va ben oltre la cultura largamente misogina di Silicon Valley. È la cultura di oggi che trasmette valori sbagliati. L’anonimato di internet in cui le donne ricevono continuamente insulti per essersi lamentate dei videogiochi sessisti e i commenti di ogni genere che Facebook difende a spada tratta per preservare il culto della libertà di espressione e la competitività sfrenata che porta giovani Zuckemberg a calpestare i suoi compagni per raggiungere il successo, sono solo alcuni dei motivi per cui la misoginia di Silicon Valley sembra una conseguenza inevitabile in un sistema ormai dominato da ambizione e individualismo di giovani nerd in ciabatte di Stanford e i loro finanziatori di fiducia.
Secondo Corrente Rosa questo modello di successo, rappresentativo del liberalismo sfrenato e invidiato dal mondo intero, non ha limiti né controlli, pertanto crede che si possa concedere qualsiasi comportamento purché sia mantenuto il successo, spesso anche a scapito delle donne.
©2014 - Corrente Rosa - Associazione non lucrativa e senza legami politici
Nessun commento