“DONNE AL VERTICE”
Proposte di legge per favorire la presenza delle donne nei Consigli di Amministrazione
19 aprile 2010 – ore 18-20
Sala della Mercede – Palazzo Marini – via della Mercede 55 – Roma
Sono solo il 4% le donne presenti nei CdA italiani contro una media dell’Unione Europea a ventisette dell’11%. Italia quindi al 29° posto – secondo le statistiche della Commissione Europea – su 33 paesi censiti, seguita solo da Malta, Cipro, Lussemburgo e Portogallo. Se poi si considerano i CdA delle prime 300 società europee (di cui 23 Italiane) la situazione è ancora peggiore, poiché dei 375 “seggi” di consigliere di queste 23 società, solo 8 sono appannaggio di donne, scivolando così al penultimo posto su 17 paesi, seguiti solo dal Portogallo (fonte European Professional Women Network). Eppure ricerche autorevoli dimostrano che le aziende con più donne al vertice ottengono risultati migliori: secondo lo studio della nota società internazionale di consulenza strategica Mckinsey, ad esempio,queste aziende sono migliori rispetto alle medie di settore, fino al 10% in termini di ROE e addirittura il 48% per EBIT.
“Come possono le donne dare un nuovo impulso all’economia? Una risposta possibile potrebbe essere di fare aumentare il numero delle donne nei CdA delle società” si chiede Serena Romano, Presidente di Corrente Rosa.
Il tema è stato ampiamente dibattuto nel convegno promosso da Corrente Rosa a Palazzo Marini.
“Stando ai dati, la meritocrazia non basta e occorre un sostegno anche da parte della legislazione”. Ne sono convinte la Senatrice Maria Ida Germontani (PDL) e l’Onorevole Alessia Mosca (PD) che, nel corso del convegno, hanno illustrato i contenuti delle proposte di legge di modifica dell’art. 147-ter del D.Lgs n. 58/1998 in materia di parità di accesso agli organi di amministrazione delle società quotate in mercati regolamentati, presentati al Senato e alla Camera. In particolare si prevede che lo statuto debba assicurare l’equilibrio tra i generi; che l’equilibrio si intende raggiunto quando il genere meno rappresentato all’interno dell’organo amministrativo ottiene almeno un terzo degli amministratori eletti e che la Consob determini sanzioni per le società quotate che risultino inadempienti. La misura è temporanea e applicabile per due mandati consecutivi.
Il dibattito che ne è seguito ha visto numerosi interventi da parte di uomini e donne del mondo aziendale, professionale e delle istituzioni, delle associazioni professionali e culturali.
I temi discussi hanno mostrato la complessità del tema:
esistono sul mercato italiano profili professionali “al femminile” adeguati per candidature di vertice? Può un sistema “impositivo” tutelare al contempo la meritocrazia e la libertà di scelta nella amministrazione aziendale? E’ sufficiente una legge che imponga una composizione più equilibrata di genere nei vertici delle aziende per garantire un cambiamento negli stili di leadership e più in generale a favorire pari opportunità nel mondo del lavoro? La società italiana è pronta ad un cambiamento di questo genere?
Molteplici le opinioni dei presenti in sala e le proposte emerse.
Per rispondere alla presunta scarsità di candidature qualificate per i CdA, la Professional Women’s Association ha costituito un database di 73 curriculum di donne “ready for board”, selezionate con il supporto di quattro società di selezione del personale, sulla base di rigidi criteri (provenienza, ruolo, competenze/esperienze).
Per quanto riguarda l’opportunità o meno di un approccio impositivo legislativo, c’è chi propone, in alternativa, un’aggiunta nei sistemi dei codici di autodisciplina, come quello di Borsa Italiana per le società quotate, prevedendo l’inserimento di un numero significativo di donne nella composizione dei CdA e di rimandare quindi ad un meccanismo di “comply or explain” l’applicazione effettiva. Questo sistema apre il dibattito verso un altro tema di indubbio interesse: la trasparenza dei criteri di selezione dei profili dei consiglieri, i quali si auspica siano orientati alla meritocrazia.
Chi, d’altra parte, è favorevole ad un approccio di tipo legislativo, richiama l’esperienza di paesi come la Norvegia in cui, nonostante la cultura della parità di genere sia notoriamente all’avanguardia, è stata proprio l’adozione di un’apposita legge a fare da volano per il raggiungimento della percentuale del 44% di donne nei CdA con 10 o più persone. C’è inoltre chi vede la promozione di misure legislative in favore delle “quote rose” come una concreta applicazione del principio costituzionale sancito dall’art.37 della Costituzione Italiana sul principio di parità di trattamento del lavoro femminile.
Il dibattito si è concluso con la consapevolezza e la posizione sostanzialmente concorde che, indipendentemente dall’opinione che si ha sulle cosiddette “quote rosa”, la promozione e la realizzazione dell’effettiva parità di genere nel mondo del lavoro passa per un profondo “cambiamento culturale” dell’intera società. Per realizzarsi è necessario un complesso coordinato di azioni quali: creazione di nuovi stili di leadership aziendali, conciliazione dei tempi lavorativi con quelli familiari, promozione di una più equa ripartizione dei ruoli domestici, il rafforzamento di politiche di sostegno alle famiglie, ad esempio mediante interventi fiscali, come già avviene in altri paesi europei (Francia, Paesi Scandinavi,…).
Le iniziative che promuovono la presenza delle donne in CdA e, in generale nei posti di vertice, possono dunque essere efficaci solo se inserite in un quadro di interventi coerenti che creino le condizioni per una società basata sull’effettivo riconoscimento delle competenze e del merito, indipendentemente da qualsiasi ostacolo o pregiudizio di genere.
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