Donne in attesa – L’Italia delle disparità di genere

     

    Il nuovo libro di Alessandra Casarico e Paola Profeta, edito da Egea, in cui si analizzano le disparità di genere presenti nel nostro Paese relativamente alla posizione delle donne nel mondo familiare, del lavoro e della politica.

    Potremmo definire Alessandra Casarico e Paola Profeta, entrambe professoresse associate all’Università Bocconi di Milano, come due abili fotografe. Le loro fotografie si osservano, si studiano, e parlano da sole. Il soggetto fotografato, tuttavia, lungi dall’esserne uno qualsiasi, è di particolare complessità: si tratta della posizione delle donne italiane nel mondo familiare, del lavoro e della politica. Secondo tali studi, si fotografa come in Italia le donne investono più degli uomini in formazione ed istruzione e si laureano in media con voti più alti. Eppure, l’Italia è l’ultimo Paese nell’Unione Europea per tasso di occupazione femminile (47%) e per tasso di fecondità (1,41 figli per donna), due elementi di cruciale importanza per la crescita economica di un Paese.

    Come giustificare tali dinamiche? E perché una donna è spesso costretta a fare i salti mortali se vuole avere una famiglia e allo stesso tempo affermarsi sul lavoro per fare carriera? In che modo è possibile rendere più tangibili per ogni donna le così tanto sofferte pari opportunità?

    Le autrici passano in rassegna i problemi, assai ben noti, inerenti al “gap di genere” tra uomini e donne in Italia in tre ambiti principali: i servizi, il lavoro e la politica. L’analisi è utile per evidenziare con dati empirici una serie di ritardi che, nel nostro Paese, non garantiscono a uomini e donne un eguale trattamento.
    Ritardi che lasciano le donne italiane “in attesa”: non di figli, ma di un’evoluzione, di una maggiore valorizzazione istituzionale, di una migliore posizione economica. Il nostro Paese ha tutto da guadagnare nel favorire la crescita dell’occupazione femminile ed una maggior partecipazione dei talenti “rosa” alle cariche decisionali più elevate.

    Sono di particolare interesse le soluzioni proposte dalle professoresse per attenuare le disparità di genere presenti a tutt’oggi nel nostro Paese:

    – Il primo ambito affrontato è quello inerente alla “organizzazione famiglia-lavoro”, legato al problema della scarsa erogazione da parte dello Stato di servizi fondamentali, quali gli asili nido o i congedi di paternità obbligatori, che sono un prezioso aiuto per le mamme che intendano proseguire il loro percorso lavorativo. L’Italia si rivela nel complesso arretrata rispetto alla media europea, con l’unica eccezione dell’Emilia-Romagna. Inoltre, studiando gli esempi virtuosi di Francia (come il chèque emploi service universel o CESU), Gran Bretagna e Belgio, Casarico e Profeta propongono l’erogazione, da parte dello Stato, di “buoni-lavoro” che possano coprire le spese per i lavori domestici e le cure dei neonati. In tal modo, il lavoratore può provvedere alle esigenze familiari a costi contenuti, mentre l’impresa può usufruire di agevolazioni fiscali. Infine, le professoresse sottolineano la necessità di rendere il sistema pensionistico più flessibile nei confronti degli equilibri lavorativi delle donne.

    – Il secondo ambito analizzato è quello della scarsa partecipazione femminile ai vertici delle imprese. Come suggerito da Casarico e Profeta, lo Stato dovrebbe promuovere degli incentivi per le società che assumono donne e far adottare loro comportamenti più virtuosi nella crescita professionale femminile. Inoltre, andrebbe considerata l’ipotesi di introdurre le cosiddette quote rosa, non per creare membri “di serie A e di serie B”, ma per ridurre le distorsioni presenti nel mercato del lavoro che rendono la competizione tra uomini e donne meno trasparente. In questo caso, l’azione politica si rende necessaria per fissare tali quote, sia obbligatorie (come è avvenuto in Norvegia), sia volontarie (il caso della Svezia). Per quanto riguarda l’Italia, sono in discussione due proposte di legge per sostenere la presenza femminile ai vertici delle imprese. La prima, della deputata del PDL Lella Golfo, propone una modifica agli statuti delle società quotate nei mercati regolamentati, per garantire una partecipazione femminile nei CdA pari ad almeno il 30% dei membri, pena lo scioglimento del CdA da parte della Consob. La seconda, di carattere temporaneo, è quella della senatrice del PDL Ida Germontani, che riprende la proposta Golfo, tuttavia, con l’ulteriore indicazione di applicare il vincolo del 30% per soli due mandati consecutivi dei CdA.
    Infine, vi è altresì la questione del “monitoraggio” dei processi di selezione ai vertici delle imprese. Dopo lunghi ritardi, l’Italia si è finalmente conformata alla Direttiva 54 dell’Unione Europea, che richiede agli Stati membri di istituire un organismo indipendente volto a vigilare sul rispetto della parità di trattamento tra uomini e donne. Tuttavia, come osserva Fiorella Kostoris, professoressa dell’Università La Sapienza di Roma, è lecito dubitare dell’effettiva autonomia ed indipendenza dell’organismo di monitoraggio istituito nel nostro Paese, in quanto l’organo designato a tal fine dipende dal Ministero del Lavoro.

    – Il terzo ambito esaminato è quello della partecipazione delle donne ai vertici della politica. La scarsa presenza femminile in tale contesto è da attribuirsi prevalentemente alla volontà dei partiti politici, i quali scelgono le proprie candidate. In alcuni Paesi europei, come Belgio, Francia, Spagna e Portogallo, sono state introdotte quote rosa obbligatorie, che hanno favorito la presenza femminile nelle cariche politiche (in Belgio pari al 50%). In Italia, tuttavia, dove sono presenti solamente delle quote volontarie a livello dei partiti, le proposte di introdurre quote obbligatorie hanno a lungo ricevuto la forte opposizione da parte dei politici di tutti gli schieramenti (si pensi, ad esempio, alla proposta dell’allora Ministro delle Pari Opportunità Stefania Prestigiacomo nel 2005).
    Infine, osservando la partecipazione delle donne italiane alla leadership politica, Casarico e Profeta notano come vi siano solo 5 Ministre, per lo più in ambiti considerati più “femminili” (Istruzione, Ambiente, Pari Opportunità). Diversamente, in Spagna e Francia vi sono donne a capo di ministeri più incisivi, come quello degli Interni, dell’Economia, del Lavoro e della Difesa.

    In conclusione, sebbene le autrici fotografino un panorama ancora arido e tortuoso, si intravede uno spiraglio di ottimismo per il futuro delle donne italiane. Non vi sono d’attendersi cambiamenti repentini, ma non sono certo da escludersi graduali evoluzioni verso una realtà più paritaria per le prossime generazioni. D’altronde, la volontà di eccellere e lo spirito di competizione sono molto spesso considerate tipiche qualità femminili.
    Infine, per rendere il lavoro ancor più completo di quanto già sia, Casarico e Profeta potrebbero altresì inserire alcuni esempi di good practices adottate in alcuni Paesi europei per facilitare l’organizzazione dei ritmi lavoro-famiglia. Ad esempio, nei Paesi Bassi si sta sperimentando una maggior flessibilità degli orari dei servizi (poste, banca, etc), che prevede l’interazione diretta tra le amministrazioni locali ed i cittadini, al fine di soddisfare le esigenze di questi ultimi. Oppure ancora il telelavoro, che permette alle mamme con figli da accudire di uscire prima dall’ufficio e di continuare a lavorare da casa. Tali pratiche hanno fin’ora avuto dei risultati positivi, favorendo il raggiungimento di un maggior equilibrio nella gestione delle questioni familiari all’interno della coppia.

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