Il congedo parentale in Svezia: verso una maggiore armonia familiare

    Potreste mai immaginare vostro marito che porta a spasso il vostro neonato al parco, che si prenda cura del piccolo – cucinando, tagliandogli le unghie, cambiandogli il pannolino, cullandolo la notte -, e che lo vada ad accompagnare a scuola mentre voi continuate a lavorare?

    Questo scenario potrebbe sembrare bizzarro o irrealistico in Italia, ma rispecchia invece la normalità in un Paese come la Svezia, dove il sistema di previdenza sociale è all’avanguardia sotto molteplici aspetti, tra cui quello del congedo parentale. La legge prevede tredici mesi di congedo retribuito (all’80% dello stipendio), da suddividere tra la madre ed il padre, sessanta giorni dei quali sono obbligatori per ciascun genitore. Il risultato di questa lunga evoluzione sociale (avviatasi quasi quarant’anni fa) ha portato alla formazione di una mentalità paritaria, che equipara i compiti di entrambi i genitori senza creare imbarazzi e divari. Sebbene sia difficile “esportare” il modello svedese – legato ad alcune caratteristiche peculiari della Svezia, come, ad esempio, la bassa densità di popolazione, di 21 abitanti per kmq -, vale la pena osservarne le caratteristiche e lasciarsi “ispirare”.

    Da circa quarant’anni, i governi svedesi di tutti gli schieramenti politici hanno promosso progetti legislativi volti a favorire una migliore organizzazione familiare, equiparando il ruolo delle madri e dei padri non solo nell’ambito lavorativo, ma anche in quello domestico. In particolare, sin dal 1974 si ponevano le basi per un sistema di congedo parentale, al posto di quello prettamente “materno”, che consentiva, per la prima volta, anche ai padri di poter usufruire di congedi per la cura del figlio neonato. Successivamente, tra il 1995 e il 2002, la Svezia introduceva nuove riforme, tra cui il congedo paterno, stabilendo che due dei tredici mesi di congedo retribuiti previsti dalla legge fossero riservati ai padri.

     

    Ad oggi, il sistema svedese di previdenza sociale costituisce il modello più virtuoso in Europa: i genitori hanno entrambi diritto ad un congedo retribuito nei 10 giorni successivi alla nascita del proprio neonato. Dopodiché, sono previsti 390 giorni di congedo parentale – retribuiti con un sussidio pari all’80% dello stipendio percepito nell’ultimo anno di lavoro -, che possono essere ripartiti tra il padre e la madre fino all’ottavo anno del figlio. Dei 390 giorni, 60 giorni devono essere usufruiti obbligatoriamente da ciascun genitore. Inoltre, il periodo di congedo può essere frazionato in giorni ed ore, ed essere suddiviso tra i genitori per conciliare al meglio le proprie esigenze lavorative. È altresì prevista una maggiore flessibilità di orari lavorativi, come le giornate di 6 ore, che consentono al padre o alla madre di andare a prendere i figli a scuola e di recuperare attraverso il lavoro serale svolto da casa. Sono infine previsti anche dei sussidi per gli asili nido, che ne minimizzano i costi (circa 130 euro mensili).

    Gli effetti del congedo parentale svedese “paritario” sono stati benefici sotto diversi profili. In primo luogo, l’equa ripartizione delle responsabilità tra mariti e mogli ha notevolmente ridotto il tasso di divorzi e separazioni: rimanendo a casa ad occuparsi del neonato, i padri acquisiscono una maggior consapevolezza del loro ruolo di genitori e si rafforza la solidarietà e l’armonia coniugale. In secondo luogo, il congedo parentale ha consentito un miglioramento della posizione lavorativa femminile in Svezia: la donna, infatti, non è più costretta a lasciare il lavoro, ma è in grado di ripartire i propri doveri di genitore con il marito e di proseguire con la propria carriera (in media, i salari femminili crescono del 7% per ogni mese in cui è il marito ad usufruire del congedo). Inoltre, non è da dimenticare che sin dagli anni ‘60, periodo del boom economico, la Svezia ha promosso il coinvolgimento delle donne per incrementare la forza lavoro, anziché ricorrere all’immigrazione (a differenza di molti Paesi europei). In terzo luogo, come evidenziato dalla Confederazione Svedese per gli Impiegati Professionisti, si è osservato come in un paese con un miglior livello di pari opportunità, il tasso di natalità sia alto rispetto alla media europea (10,15 nascite su ogni 1.000 abitanti nel 2009), senza tuttavia pregiudicare nel lungo termine il tasso di occupazione femminile (che in Svezia supera quello maschile). In quarto ed ultimo luogo, vi sono anche degli importantissimi effetti sull’organizzazione interna delle imprese. Sebbene la prolungata assenza dei lavoratori sia in grado di destabilizzare l’andamento del processo produttivo – tanto che non sono rari gli episodi in cui le società scoraggiano la richiesta dei congedi da parte dei lavoratori -, si è affermata in Svezia una politica d’impresa cosiddetta “family-friendly”, ovverosia più attenta a promuovere l’equilibrio familiare e disposta a concedere orari lavorativi più flessibili. Nel 2006, il 41% delle imprese svedesi (tra cui la Ericsson) ha formalmente incoraggiato il congedo paterno, a differenza dell’esiguo 2% nel 1993.

    La condivisione di uno stesso modello da parte di tutti i partiti politici svedesi è stato uno degli elementi fondamentali che ha facilitato il raggiungimento di un sistema sociale così efficiente. Tuttavia, sebbene tale sistema sia oggetto di studi da parte di numerosi Paesi (tanto da ispirare l’Unione Europea nell’elaborazione della Direttiva comunitaria 96/34 sul congedo parentale), non sempre è stato possibile “esportarlo”. Ad esempio, il consenso stesso tra i vari gruppi partitici non è purtroppo presente in tutti i Paesi europei. Inoltre, la Svezia possiede “appena” nove milioni di abitanti e conti pubblici ordinati (con un deficit di bilancio pari al 2,1% del Pil ed un debito pubblico pari al 40% del Pil), caratteristiche che la differenziano da altri Paesi europei più popolosi (con decine di milioni di abitanti) o con difficoltà fiscali e di bilancio (con minori fondi da destinare al Welfare). Infine, spesso sono i fattori culturali a frenare la richiesta del congedo paterno: a differenza di quanto accade in Svezia, dove si è sviluppato un approccio più paritario riguardo al ruolo di madri e padri, in numerosi Paesi europei (tra cui l’Italia) si tende a confondere la “paternità” con la “mascolinità”.

    In Italia, dove la disciplina sui congedi è contenuta nel Testo Unico sui congedi parentali (decreto legislativo 151/2001), è attualmente in esame la proposta di legge che istituirebbe un congedo paterno obbligatorio di quattro giorni, retribuito dalla propria azienda o – per i lavoratori autonomi – dal sistema previdenziale. Tale proposta è volta a perseguire, accanto alle pari opportunità, le pari responsabilità tra i coniugi, e colmare il grande vuoto esistente nell’ambito dei congedi paternali italiani (richiesti da appena il 4% dei lavoratori, contro l’85% di quelli svedesi). Tuttavia, la reticenza a usufruire dei sei mesi di congedo paterno facoltativi, previsti all’articolo 28 del Dlgs. 151, deriva in gran parte dalla scarsa retribuzione prevista, pari ad appena il 30% dello stipendio.

    Il percorso verso un sistema paritario appare ad oggi ancora lungo, non solo in Italia, ma anche in Europa, dove in media i giorni di congedo paterno obbligatorio sono pochi (undici in Francia, una settimana in Portogallo, quattro in Spagna, tre in Gran Bretagna ed in Germania). Ciononostante, l’approvazione di una nuova direttiva europea sui congedi parentali (n. 2010/18/Eu dell’8 marzo 2010), che impone agli Stati membri di conformare le proprie disposizioni in materia entro il 2012, potrebbe divenire un motore propulsore per il raggiungimento di una maggiore parità tra padri e madri, e favorire una più ampia apertura mentale per la condivisione delle responsabilità coniugali.

     

     

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