Irlanda: referendum “storico” sul diritto delle donne a interrompere volontariamente la gravidanza- di Nicoletta Bevilacqua

    Un editoriale di “Le Monde”, pubblicato il 28 maggio scorso, analizza e commenta il  referendum sull’aborto che si è svolto il 25 maggio in Irlanda, sottolineandone “il modo esemplare”, per la forte partecipazione al voto e per la dimostrazione data di unione del paese e di maggiore coesione con gli altri stati europei che già hanno riconosciuto tale diritto per le donne.

    Come sintetizza Le Monde, è stato infatti un referendum che riconcilia con l’idea stessa di referendum, differentemente da quanto avvenuto due anni fa con la “Brexit” in Gran Bretagna.

    L’abrogazione dell’emendamento costituzionale che vietava la cessazione volontaria della gravidanza nella Repubblica irlandese, è stata approvata con il 66,4% di sì, secondo i risultati ufficiali pubblicati, facendo registrare una partecipazione notevole (64%) per un referendum. La partecipazione giovanile è stata particolarmente alta (85%), e la campagna è stata  molto rispettosa delle differenti opinioni, senza produrre differenze significative di voto tra città e aree rurali. Diversamente dalla Brexit questo referendum ha unito, come si diceva, il paese rendendolo più vicino al resto d’Europa.

    L’articolo segnala come il primo ministro irlandese, Leo Varadkar, abbia avuto ragione a parlare di un “giorno storico” per l’Irlanda, e di “rivoluzione silenziosa”, in linea di continuità con il referendum del 2015, che ha aperto la strada al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il voto del 25 maggio ha quindi messo fine alla paradossale situazione di un paese in cui il matrimonio tra persone dello stesso sesso è permesso, ma dove le donne non avevano fino ad oggi il diritto di decidere il destino delle loro gravidanze.

    Quanto accaduto mostra, inoltre, una società capace di essere più avveduta delle sue élite religiose e politiche, riuscendo a ignorare le posizioni della Chiesa cattolica e le esitazioni dei leader politici. La campagna per questo referendum ha reso possibile una libertà di parola senza precedenti sulla sofferenza delle donne e degli uomini privati del diritto all’aborto. Molti elettori hanno riconosciuto di aver aspettato queste elezioni da molto tempo. Segno significativo della portata del cambiamento di mentalità iniziato negli anni ’90, con l’autorizzazione del divorzio e la depenalizzazione della omosessualità.

    L’editoriale ricorda come il primo ministro irlandese, apertamente omosessuale e figlio di un immigrato indiano, sia egli stesso un simbolo della modernizzazione di una società a lungo dominata dalla Chiesa cattolica, solo tardivamente convertita alla necessità di rompere il tabù dell’aborto mediante una consultazione elettorale. Ogni donna o politico irlandese ricorda che è stato anche un voto popolare, altrettanto ampio, che ha vietato l’aborto nel 1983. Ma gli elettori ricordano anche le 200.000 donne che hanno dovuto attraversare dal 1983 il Mare d’Irlanda per abortire in Gran Bretagna.

    L’Irlanda, ha detto Leo Varadkar per rassicurare chi è contrario a tale esito referendario, “rimane la stessa della scorsa settimana. Semplicemente è più tollerante, più aperta e più rispettosa”.

    Le Monde rammenta come, nel resto dell’Unione europea, siano cinque i paesi che vietano l’aborto, tra cui Malta, Cipro e il piccolo principato di Andorra. Il risultato importante di questo referendum, a suo parere, sarà indubbiamente osservato con particolare attenzione negli altri due Stati interessati: la Polonia, dove anche la società civile si è mobilitata per impedire al governo di limitare ulteriormente il diritto all’aborto, che è riconosciuto solo in caso di stupro, malformazione del feto o rischio per la salute della madre, e dove la gerarchia cattolica, pur essendo più militante della Chiesa irlandese, ha mantenuto una posizione di discrezione durante questa campagna a favore del diritto all’aborto e l’Irlanda del Nord, una provincia britannica dove, paradossalmente, l’aborto rimane proibito.

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