Il rapporto OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico con 34 paesi membri in tutto il mondo) appena uscito, e riferito all’anno 2009, conferma ancora una volta la criticità del mercato del lavoro in Italia rispetto al tasso di occupazione femminile.
Ancora molto rilevante risulta essere la mancanza di offerta di lavoro, in particolare per le donne, nel mercato ufficiale. A confronto, i dati ISTAT 2010 mettono in luce la scarsità di servizi offerti dallo Stato italiano per conciliare la vita familiare con quella lavorativa: nel 2010, tra le donne che hanno figli con meno di 15 anni, le inattive sono il 40%; tra i 25 e i 34 anni, le madri occupate solo il 45% mentre i padri raggiungono l’87%.
Un problema importante della carenza dei servizi per la conciliazione porta ad un altro dato all’armante, sono il 30% delle lavoratrici madri contro il 3% dei padri ha lasciare il lavoro per motivi familiari.
Mentre l’indagine Isfol recentemente pubblicata sull’occupazione femminile dimostra che oltre il 35% delle donne inattive tra i 25 e i 45 anni considera obbligata la scelta di restare a casa. Rispetto alla media OCSE, l’Italia si conferma quindi ancora una volta agli ultimi posti in Europa: 11 punti sotto.
A fronte di questo dato, ce n’è un altro piuttosto eclatante: l’Italia, secondo l’indagine OCSE, è il paese delle imprenditrici, il nostro Paese è il secondo in Europa per numero di imprese guidate da donne.
Si tratta però, realisticamente, di piccole imprenditrici: le aziende con proprietario singolo e almeno un dipendente guidate da donne, rivela ancora lo studio, nel nostro Paese sono il 26,8% del totale; in gran parte, oltre il 90%, si tratta di imprese con meno di 5 dipendenti.
Il 16% delle lavoratrici italiane è «autonoma» o imprenditrice. Un record, se si guarda la media europea (10%) o quella di paesi come Inghilterra, Francia e Germania, dove le imprenditrici sul totale delle occupate sono tra il 6 e 8%.
L’Italia, in quanto paese delle “Partite IVA”, (8 milioni), dimostra che spesso per poter lavorare occorre mettersi in proprio, anche come free–lance. E questo vale in particolare per le donne, visto che l’Italia ha anche il primato in Europa, questa volta negativo, di donne non occupate nel mercato ufficiale (oltre alla crisi del “posto di lavoro fisso” possiamo anche leggere dietro a questi dati il fenomeno dell’abuso di partite IVA, non quantificabile con certezza, che nascondono a volte rapporti di lavoro dipendente, di fatto ma non di diritto).
Per quanto riguarda la media di donne presenti nei Consigli di Amministrazione, siamo invece 26esimi su 40 nella classifica OCSE, in attesa che si facciano sentire i benefici della nuova legge che prevede le quote di genere.
Cristina Michelini, 2 luglio 2012
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