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Sta avvenendo, da qualche anno e ancora sottotraccia, una rivoluzione discreta ma potente nella sua connotazione culturale: la rivoluzione dei padri. Già dagli anni 70 del novecento qualcosa aveva iniziato a muoversi, nella relazione meno normativa tra padri e figli… ma quello che sta avvenendo in questo primo scorcio di XXI secolo è qualcosa di più, perché sembra schivare la logica “competitiva” con le madri, per entrare in collaborazione con queste. Sembra quasi un paradosso parlare di collaborazione dove la cronaca riferisce quotidianamente casi di violenza domestica degli uomini a carico delle donne… ma dobbiamo tenere almeno in parte distinte le due dimensioni: quella affettiva della coppia uomo-donna da quella collaborativa della coppia padre-madre. Perché il modo di vivere l’esperienza genitoriale degli uomini e delle donne è profondamente diverso, sia come punto d’inizio che come percorso. Ma giunge – e questo è ciò che maggiormente stupisce – alle stesse conclusioni, produce quindi gli stessi effetti: pazienza, capacità di ascolto, empatia, ottimale gestione del tempo e individuazione delle priorità. Tutte competenze particolarmente spendibili anche nel mercato del lavoro, soprattutto oggi.
È risultato da una recente indagine quali-quantitativa sullo status della paternità in Italia[1], che la maggioranza degli uomini vive oggi l’essere padre come esperienza irrinunciabile della propria crescita personale, in grado di conferirgli maggior senso prospettico del futuro, maggior attenzione all’equilibrio lavoro-famiglia, più leggerezza nell’affrontare in problemi lavorativi e soprattutto maggiore empatia e attenzione verso i più deboli. Tutte caratteristiche che si pensava fossero appannaggio del genere femminile, ed invece scopriamo essere appannaggio della genitorialità in quanto tale, come esperienza di vita, sia essa declinata al maschile o al femminile. Una vera rivoluzione, che permetterà ai padri di evolvere da vice-madri a padri effettivi, conquistando una propria specificità genitoriale; alle donne d’altro canto, di cedere una parte delle responsabilità di cura. Queste ultime potranno così liberarsi dall’idea dell’altruismo “naturale”, e i primi potranno liberarsi dallo stereotipo del “maschio alfa” dominante, per accedere a una dimensione affettiva più articolata e sofisticata, densa di sfumature e colori.
Quali conclusioni dunque, rispetto ad un quadro di questo tipo? Purtroppo il nostro sistema normativo è drammaticamente indietro rispetto alla rapidità con cui questi cambiamenti culturali e sociali stanno avvenendo. Occorre un “colpo di reni”, uno scatto di velocità che possa trasformare questo risveglio in un’occasione da non perdere. Un’occasione non solo per i padri o per la famiglia… un’occasione per la società intera! Perché una società più bilanciata, negli oneri e negli onori, è una società che funziona meglio e produce di più, è una società che cresce e che guarda al futuro.
Come favorire dunque questo mutamento? Il primo passo deve necessariamente essere imposto per legge: il congedo obbligatorio di paternità. Una misura già esistente ma corrispondente a soli 2 giorni, che un Disegno di Legge attualmente depositato alla Camera (Di Salvo e altri), si propone di allargare a 15 giorni lavorativi, retribuiti al cento per cento, da fruire entro il primo mese di vita del bambino, cioè quando è più importante per la coppia essere entrambi presenti nella costruzione di un nuovo equilibrio famigliare. Quest’obbligo è certamente un passo importante, perché legittima i padri ad essere protagonisti di una nuova identità più consapevole, e permette di considerare la paternità come un fenomeno naturale, evitando – a tendere – di discriminare le donne sul posto di lavoro, poiché presunte depositarie di una maggior responsabilità. Naturalmente si tratta di una misura che ha principalmente un obiettivo culturale, per ridurre gli stereotipi di ruolo ed avviarci alla vera condivisione, liberando il potenziale femminile nel mercato del lavoro. Ma affinché sia davvero efficace e sostenibile nel lungo periodo, sarà necessario agire anche al contorno con una serie di interventi, che operando in sinergia, consentiranno alla coppia di confezionare un modello di bilanciamento lavoro-famiglia tagliato su misura. Come ad esempio lavoro agile, flessibilità dell’orario di lavoro, lavoro da remoto, part-time verticale, servizi all’infanzia, bonus tempo.
Per ora comunque, siamo soddisfatti di osservare un rapido cambiamento culturale nella consapevolezza e nella partecipazione dei padri, e siamo felici di constatare che il legislatore ne ha preso atto traducendolo in proposta. Saremmo ancora più soddisfatti però, se tale cambiamento venisse agito alla velocità cui procede la società contemporanea…
Continueremo dunque a monitorare l’iter normativo, attuando azioni concrete di pressione sul decisore e informando costantemente i cittadini sugli sviluppi.
Negli ultimi anni si è assistito ad un graduale incremento, qualitativo e quantitativo, della partecipazione dei padri nella cura dei figli: sono più consapevoli del ruolo che rivestono nella crescita dei piccoli e soprattutto sono più abili nelle mansioni accuditive più tipicamente “materne”; questa crescente abilità unita alla consapevolezza “teorica” del ruolo, li rende autenticamente partecipi e più definiti nella loro “nuova” identità paterna.
E’ quindi estremamente importante che vengano incoraggiati in questo percorso di crescita, soprattutto in vista di una sempre più bilanciata condivisione dei carichi di famigli all’interno della coppia e dello sviluppo della co-genitorialità, quell’alleanza relazionale ed educativa così importante per l’armonioso sviluppo psichico dei bambini. Supportare lo sviluppo di una paternità consapevole apporta dunque benefici al singolo uomo, alla coppia, al figlio e – in ultima analisi – alla società intera, permettendo una maggior partecipazione delle donne al mercato del lavoro e favorendo nuovi modelli familiari basati sulla condivisione e la collaborazione più che sulla divisione di ruoli e mansioni.
La legge italiana prevede, allo stato attuale, 2 giorni di astensione obbligatoria dal lavoro per i neo papà, da fruire in contemporanea alla madre, e fino a 7 mesi di congedo retribuito al 30%, da fruire in alternativa alla madre. Gli studi recenti dimostrano che il congedo viene utilizzato da una sparuta minoranza di padri, nonostante i dati qualitativi mostrino una crescente partecipazione. Come mai?
Le difficoltà sono su vari livelli:
economico: si tende a rinunciare più facilmente al 70% dello stipendio inferiore che di quello maggiore, generalmente dell’uomo; inoltre all’aumentare dei figli aumenta il bisogno di denaro
psicologico: quando il piccolo ha appena 3 mesi, dunque neccessita ancora prioritariamente delle cure materne, difficilmente il padre si sente di porsi in “competizione” come altrettanto difficile è che la madre abdichi al suo ruolo, specie se allatta a richiesta.
Logistico: all’aumentare dei figli aumenta il bisogno di tempo.
[1] Campagna Nazionale “Diamo voce ai papà”, Piano C, 2017
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