La sconfitta di Hillary Clinton e le politiche a favore delle donne e dell’inclusione sociale – di Nicoletta Bevilacqua

    ap_102370955607-e1461012675552Dopo la vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali americane, c’è da chiedersi cosa abbia rappresentato la candidatura di Hillary Clinton per la promozione di politiche di emancipazione femminile e di inclusione sociale e quale sia stato il suo contributo per la loro affermazione.

    Per molte donne, infatti, la sua candidatura ha rappresentato, non solo negli Stati Uniti, il segnale di un cambiamento epocale, di dimensione storica soprattutto per le giovani generazioni, il sogno di vivere in un Paese inclusivo, dove le differenze di genere, di colore, di razza, di orientamento sessuale, di capacità fisica, non diano luogo a discriminazioni e non limitino le possibilità di affermazione ed uguali riconoscimenti.

    L’impegno di Hillary per le donne e le famiglie ha costituito del resto una costante della sua carriera professionale e poi politica, iniziata nel 2000 con l’elezione a senatrice nello stato di New York e proseguita con l’elezione nel gennaio 2001 come Sottosegretario di Stato dell’Amministrazione Obama.

    Un pieno riconoscimento del suo impegno in questa direzione è stato ribadito dall’editorial board del 24 settembre 2016 del New York Times nel quale è stata elogiata la sua attività per migliorare la vita delle donne, dei bambini e delle famiglie. Come first lady, ha ricordato il NYT, ha istituito un programma di assicurazione sanitaria per i bambini che consente la copertura delle spese mediche a più di 8 milioni di giovani con basso reddito. Inoltre, ha preso più volte posizione a favore dei diritti delle donne, suscitando talvolta un grande clamore come in occasione del celebre discorso tenuto a Pechino nel 1995 nel corso della Quarta Conferenza sulle donne organizzata dall’Onu.

    Discorso che, come si ricorderà, Hillary tenne come presidente onorario della delegazione Usa e nel quale sferzò il regime cinese sul tema della salvaguardia dei diritti umani e delle donne in particolare davanti ai rappresentanti di 189 paesi, richiamando i diritti all’educazione, alla salvaguardia della salute, al lavoro, alla piena partecipazione politica e sociale, e ricordando che le donne rappresentano il 70% dei poveri nel mondo, per due terzi sono ancora analfabete e moltissime subiscono ancora terribili abusi, violenze e limitazioni rispetto alle loro scelte di vita.

    Il discorso creò tensione con il governo cinese che Madeleine Albright, ambasciatrice all’Onu degli Stati uniti, ridimensionò dichiarando l’intenzione del suo governo di allacciare un rapporto di dialogo costruttivo con la Cina. La risolutezza della Clinton, tuttavia, contribuì a far divenire la questione dei diritti delle donne un problema su scala mondiale e da allora concetti come gender mainstreaming ed empowerment si sono affermati nella politica internazionale.

    Va anche ricordato come, due anni dopo la conferenza, nel 1997, su iniziativa della Clinton e della ex Segretario di Stato Albright, sia stata creata una organizzazione governativa no profit, la Vital Voices Democracy Initiative, sotto la cui guida il Governo USA, in collaborazione con la Banca di sviluppo interamericana, la Banca mondiale, le Nazioni Unite, la U.E. e altri paesi promuovono l’imprenditorialità femminile e la partecipazione politica attraverso conferenze in tutto il mondo che vedono la presenza di donne leader provenienti da più di 80 paesi. Si sono anche sviluppate iniziative regionali che forniscono competenze e risorse alle donne per operare a favore delle comunità locali, per la crescita del proprio paese.

    I risultati positivi raggiunti hanno portato nel 2000 alla creazione di una ONG, Vital Voices Global Partnership, che sta attivamente operando per accrescere lo status economico, politico e sociale delle donne a livello mondiale, offrendo loro il sostegno necessario, soprattutto in Africa.

    Ma, come appare chiaramente dal suo programma elettorale, quanto già fatto rappresentava solo il punto di partenza di un impegno molto ampio e articolato che avrebbe previsto, in caso di vittoria, una molteplicità di azioni e interventi, tra cui:

    • garantire alle donne americane un uguale trattamento retributivo rispetto agli uomini, promuovendo la trasparenza attraverso l’approvazione del Paycheck Fairness Act, un disegno di legge che Hillary presentò da senatrice per dare alle donne gli strumenti necessari per combattere la discriminazione nel mondo del lavoro;
    • aumentare il salario minimo. Le donne rappresentano in America quasi i due terzi di tutti i lavoratori e garantire un salario minimo superiore può colmare il divario retributivo di genere, promuovendo l’economia e la competitività;
    • difendere e migliorare la sicurezza sociale e espandere l’Affordable Care Act, che ha assicurato la copertura sanitaria a milioni di donne;
    • affrontare con decisione il problema della violenza contro le donne che in America subiscono aggressioni sessuali in un gran numero di casi ed hanno 11 volte di più la probabilità di essere uccise con armi da fuoco rispetto alle donne di altri paesi ad alto reddito;
    • difendere la salute delle donne che il Planned Parenthood, da lei fatto approvare con il relativo finanziamento, garantisce anche per quanto concerne i diritti alla riproduzione, che comprendono i diritti delle donne in materia di contraccezione a prezzi accessibili, e l’assistenza in caso di aborto, legale solo in via di principio, ma spesso effettuato senza la necessaria tutela;
    • continuare a promuovere i diritti delle donne in tutto il mondo, considerando che in troppi paesi, nonostante gli sforzi fatti e le iniziative intraprese, le donne sono ancora limitate da barriere sociali, economiche e legali.

    Anche per questo l’esito delle elezioni americane ha avuto una grande eco a livello internazionale e ha riproposto e suscitato un acceso dibattito all’interno del movimento femminista tra chi  considerava la sua candidatura un fattore di grande innovazione e una concreta speranza di cambiamento per il riconoscimento dei diritti delle donne e delle fasce sociali più svantaggiate, e chi le ha rimproverato di non essere un esempio positivo a causa del suo orientamento interventista in politica estera, della sua vicinanza al potere economico e finanziario, del suo femminismo considerato élitario e, in quanto tale, non in grado di intercettare in misura sufficiente i bisogni di ampie quote di elettori delusi, soprattutto nel ceto medio. Tra i quali molte donne che non l’hanno votata, preferendole un candidato fortemente anti-sistema come Donald Trump.

    Sarà possibile e necessario valutare quanto accaduto in una prospettiva più di medio termine, e formulare un giudizio più ponderato sulle cause della sconfitta del partito democratico e di Hillary Clinton.

    La quale non a caso ha voluto rivolgere, nel suo ultimo discorso, un incoraggiamento particolare alle donne: “non possiamo rompere quel tetto di cristallo ma un giorno succederà” e alle bambine: “realizzate il vostro potenziale e i vostri sogni”. Invitando all’unità, per essere più forti, “senza rimorsi per aver lottato per i propri ideali, guardando avanti perché arriveranno altre stagioni, stagioni migliori, c’è ancora molto da fare”.

    Un incoraggiamento da seguire, al di là di ogni polemica, per non far diventare l’inclusione sociale e i diritti delle donne un tema di secondaria importanza, ma anzi per promuoverli con rinnovato slancio.

    di Nicoletta Bevilacqua

    Autore - Corrente Rosa

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