L’Iran delle donne colpite dalle sanzioni di Trump- di Luciana Borsatti

    A seguito del nostro incontro del 19 settembre sulle Donne in Iran al tempo di Trump, pubblichiamo i punti più importanti sollevati dai relatori

    I problemi creati da Trump all’Iran colpiscono proprio la parte operosa e costruttiva della società iraniana. Ne è convinta la giovane imprenditrice iraniana Maryam Khansari, ospite della tavola rotonda “Donne in Iran al tempo di Trump. Diritti, politica e impresa”, organizzata da Serena Romano e da Corrente Rosa il 19 settembre alla Casa Internazionale delle Donne, e moderata dall’esperta in comunicazione, autrice e coach Letizia Ciancio.

    Maryam Khansari, 34 anni, è General Manager della Herison Costruction Company di Teheran, impresa di costruzioni fondata dal padre e che realizza  grandi progetti infrastrutturali in tutto il Paese. Si tratta di un’impresa privata, distinta quindi dai grandi gruppi semi-statali che operano anche in questo settore in Iran (dove un importante ruolo nell’economia lo giocano i Pasdaran e le fondazioni religiose). Come International Manager dell’Associazione nazionale delle imprese di costruzioni private in Iran (circa 15 mila i soci), la giovane imprenditrice si reca spesso in Europa e in particolare in Italia, Paese cui gli operatori economici iraniani guardano sempre con attenzione, e verso cui hanno nutrito forti speranze dopo l’accordo sul nucleare, che aveva aperto promettenti prospettive di collaborazione.

    Le nuove pressioni contro l’Iran del presidente Usa Donald Trump, uscito unilateralmente l’8 maggio scorso dall’accordo raggiunto con gli sforzi congiunti delle maggiori potenze mondiali, ha provocato “un disastro”  – ha sottolineato Maryam Khansari al pubblico che affollava la sala Tosi della Casa – analogo a quello creato dalle politiche del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad: come allora vi era stata una “fuga di cervelli” all’estero, “così oggi molti iraniani pensano di dover abbandonare l’Iran”.

    Declinato al femminile, questo problema si presenta ancora più grave. “Il 60% dei laureati ora sono donne – ha detto l’imprenditrice – ma nell’ultimo anno (quello persiano è andato dal marzo 2017 al marzo 2018, ndr) solo il 16% di queste ha trovato un impiego. Trump colpisce la società civile, uccide le speranze di chi non ha un lavoro né un futuro”.

    Non che la giovane manager abbia nascosto i problemi che affrontano le iraniane per effetto dell’ordinamento interno del Paese. Molte leggi, ha osservato, non sono a favore delle donne: non possono per esempio entrare nell’esercito né fare il giudice, né il vigile del fuoco o il pony express o l’agente immobiliare o lavorare nei pozzi petroliferi. “Esistono però anche realtà diverse dove, con l’aiuto delle loro famiglie, possono realizzare comunque i loro progetti, e non solo in grandi città come Teheran”. “Io per esempio lavoro nel settore delle costruzioni, un settore prevalentemente maschile”, ha proseguito. Citando fra l’altro un episodio in cui lei stessa aveva risposto ad un tradizionalista, contrario alla sua presenza in un incontro con uomini d’affari iraniani e stranieri, sostenendo che era lui e non lei che si doveva adeguare. “Se una famiglia ha la capacità di dare questa opportunità di eguaglianza alle loro figlie, la società lo accettano. Vorrei – ha concluso rivolgendosi al pubblico, accompagnata sempre nella traduzione da una instancabile Parisa Nazari – che voi conosceste anche questi aspetti della nostra società, non solo quelli che diffondo i media stranieri”.

    Una testimonianza la sua, aggiungiamo noi, che rispecchia la plasticità della società iraniana, la sua capacità di ritagliarsi ampi margini di libertà, autonomia e modernità nonostante leggi anacronistiche e restrittive. Una società civile in costante cambiamento, in contatto con l’Occidente sia direttamente che grazie a internet, e che vede nella strategia nuovamente ostile di Trump non solo i devastanti effetti già visibili da mesi sull’economia interna, ma anche lo spettro di un ritorno al passato e a politiche interne dominate da orientamenti ultraconservatori, che si pensavano ormai scongiurate proprio grazie al ‘nuclear deal’ voluto dal presidente moderato Hassan Rohani.

    ‘Con l’accordo sul nucleare per l’Europa è in  gioco un interesse esistenziale ”

    “Depressione, malcontento, pessimismo”: sono questi i sentimenti che ormai dominano nella società iraniana, ha sottolineato Luca Giansanti, già ambasciatore d’Italia a Teheran ed ex Direttore generale degli Affari politici al Ministero degli Esteri. Anche se, ha precisato, le politiche di Trump non bastano a spiegare la nuova crisi tra Iran e Stati Uniti, dove classe politica e opinione pubblica faticano a superare il trauma rappresentato dalla lunga crisi degli ostaggi sequestrati nell’Ambasciata americana a Teheran di 40 anni fa. E se Trump è dunque forse più in linea del suo predecessore nel parlare alla “pancia” degli americani – ha proseguito – è anche vero che i problemi strutturali del sistema iraniano,  a partire dalla corruzione, giocano una parte importante anche nella crisi economica attuale. Ma che i falchi di Washington scommettano sul ‘regime change’ o su un ‘regime collapse’, vi è certo in entrambi i  casi, ha proseguito Giansanti, una “mancanza di strategia”. Anche perché, come altre stagioni hanno dimostrato, “sanzioni e pressioni non bastano” per determinare un nuovo corso politico in Iran, la loro efficacia non è affatto certa, come già si è visto in passato. Certo è che nel frattempo le sanzioni “rafforzeranno gli elementi radicali ed estremisti” nella Repubblica Islamica, che useranno il malcontento interno per i loro “fini di potere”.

    Un approccio, quello di Giansanti, che privilegia la tesi secondo cui nella fase attuale il cambiamento possa avvenire più dall’alto che dal basso, cioè dalle correnti più moderate e progressiste del sistema iraniano. E’ per questo che compito della Ue dovrebbe ora essere proprio quello di “sostenere i moderati”, ha osservato, pur nell’affrontare questioni aperte come quelle dei diritti umani in Iran, del suo programma missilistico e del suo ruolo nel conflitto siriano.

    Per la Ue d’altra parte, ha sottolineato il diplomatico, la salvaguardia del Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), come l’accordo sul nucleare del 2015 è ufficialmente rubricato, è questione di “interesse esistenziale”, in quanto riguarda non solo la sicurezza dell’Europa – il vicino più prossimo all’infuocato Medio Oriente – ma anche la tutela di una metodo, quello multilaterale, per disinnescare i conflitti potenziali,  e l’idea del dialogo come strada per venirne a capo. Un metodo, ha concluso, che potrà valere anche per altri casi in futuro.

     ‘Trump riconsegna l’Iran a chi lo vuole chiuso. Nel mio staff 4 su 5 sono donne’

    “Trump sta riconsegnando l’Iran a quella parte politica del Paese da sempre contraria a qualunque apertura verso l’America – ha sottolineato da parte sua Luca Miraglia, amministratore delegato di Quarkup Group e rappresentante per l’Iran del gruppo The European House – Ambrosetti. Il Paese dove Miraglia opera da anni, facendo consulenza alle imprese che vi vogliono investire, “ha reagito in modo molto negativo alla decisione americana, con una perdita di valore della valuta locale di circa il 75% rispetto a 10 mesi fa e migliaia di aziende costrette a ridimensionare il proprio organico se non a chiudere. I grandi gruppi europei che hanno già lasciato, o quelli che stanno per andarsene, lo fanno di fronte alla realtà che negli Usa – dove potrebbero essere soggetti a sanzioni se mantenessero legami d’affari con l’Iran – il volume di affari “è molto maggiore” di quello che offre il pur interessante mercato iraniano – a sua volta porta d’ingresso, aggiungiamo noi, ad altre importanti quote di quello del Medio Oriente. Qui si pone per gli imprenditori anche un interrogativo importante, finanche morale: “E’ giusto continuare ad interagire con l’Iran? Assolutamente sì”, si chiede e si risponde l’imprenditore italiano – anche alla luce del fatto che l’Italia ha avuto, e si è appena riguadagnato, il primato europeo per interscambio commerciale con l’Iran. “Giusto e opportuno – aggiunge – La natura relazionale del fare business in Iran pone l’accento sulla fiducia come elemento fondante delle interazioni commerciali. Lasciare l’Iran ora significherebbe vanificare gli investimenti fatti e compromettere una ripresa delle relazioni, qualora la situazione dovesse migliorare”. A fronte delle centinaia di miliardi di investimenti esteri attesi con il JCPOA, alla fine del 2017 l’Iran aveva attratto poco più di 20 miliardi. Il sostanziale stallo finanziario causato dalle pressioni americane ne è certo la causa principale, tuttavia “molte aziende internazionali hanno anche lamentato un’elevata complessità negoziale, tempi molto lunghi e richieste talvolta non accettabili”.

    Un’occasione persa dunque anche dall’Iran – o un insegnamento per il futuro – per il fondatore di Quarkup Group, che d’altra parte non ha dubbi sul valore delle donne iraniane nel lavoro. “Nel nostro staff le donne sono 16 su un totale di 20 – sottolinea –  sono affidabili e qualificate, pronte a crescere nelle proprie competenze e consapevoli dei tempi necessari a sviluppare percorsi di carriera”.

    ‘Salute, violenza e  questioni di genere, possibili con l’Iran progetti innovativi’

    Prezioso lo spessore storico della testimonianza di Daniela Colombo,  esperta internazionale di diritti umani che ha operato in Iran all’epoca del governo riformista di Mohammad Khatami (presidente dal 19997 al 2005), chiamata a lavorare con il ministero della Sanità e il Centro per la Partecipazione delle donne sulle questioni di genere e della salute riproduttiva nei distretti periferici del Paese. Assunto l’incarico nel 2001, ha raccontato, Daniela Colombo ha dovuto affrontare la sua prima prova in un’audizione presso il parlamento iraniano – dove aveva intuito di essere giudicata positivamente in primo luogo perché italiana, e dunque cattolica agli occhi dei parlamentari –per poi trovarsi a realizzare un manuale di formazione formatori su questa materia e condurre seminari dove tra i/le partecipanti c’erano anche  i presidi delle facoltà di medicina, e proprio sui temi della salute sessuale e riproduttiva. Il suo lavoro ha avuto un seguito in una missione iraniana in Italia per studiare quanto realizzato dalle istituzioni e dalla società civile per prevenire la violenza di genere e aiutare le donne vittime ad uscirne. Vi erano presenti anche i viceministri della Sanità e dell’Istruzione e il capo della polizia di Teheran, a dimostrazione di come non vi fossero chiusure preconcette su temi così sensibili anche nel mondo istituzionale. Non che ad oggi non sussistano gravi problemi per le donne in Iran come quelli della violenza, ha proseguito Daniela Colombo: un tema quest’ultimo, – ha proseguito – oggetto di una proposta di legge voluta dal governo Rouhani ma che ora si sarebbe fermata nelle secche dei processi legislativi della Repubblica islamica. Ciononostante, ha aggiunto, non mancano centri di eccellenza per l’aiuto alle donne che hanno subito violenza come quello gestito a Teheran dalla Fondazione Omid (‘speranza’ in persiano), con lo scopo di offrire alle ragazze vittime di violenza, dopo il superamento del trauma, serie prospettive di rinascita e di vita  – dagli studi universitari al perseguimento delle proprie aspirazioni professionali. “L’Iran è anche questo – ha evidenziato – cioè la capacità di portare avanti progetti altamente innovativi che possono fare da esempio altrove”.

    ‘Un colpo a Rouhani è un colpo alle speranze delle iraniane’. Ma sono donne forti

    Luciana Borsatti, giornalista e autrice del libro “L’Iran al tempo di Trump” (Castelvecchi 2018) si è infine soffermata sulle difficoltà che incontrano le istanze riformatrici dell’attuale governo, anche in tema di diritti delle donne, dopo che il ritiro Usa dall’accordo sul nucleare ha inflitto un duro colpo al presidente Rouhani, che su quell’intesa aveva scommesso il suo futuro politico, e alla politiche moderato-riformiste dei suoi sostenitori. Difficoltà che si sommano, ha osservato, a quello delle attiviste impegnate nel rivendicare maggiori libertà e diritti, mentre  tradizionalisti e ultraconservatori, in questa rinnovata fase di tensione con l’America di Trump, hanno gioco facile nell’accusare i promotori di tali rivendicazioni di voler introdurre perniciose influenze della cultura occidentale. Nel frattempo, ha sottolineato, le donne subiscono le maggiori pressioni psicologiche causate dalle difficoltà economiche per il loro dover mediare con le esigenze e le aspirazioni dei figli; la disoccupazione colpisce più loro che i colleghi maschi; il ridotto potere di acquisto della valuta locale, il cui valore sul dollaro è precipitato in questi mesi, mette in ulteriore difficoltà le madri divorziate e le donne single; le ragazze faticano ad uscire dalle famiglie, guadagnarsi un’indipendenza o realizzare i loro progetti di vita; le giovani coppie che possono permettersi di sposarsi  sono sempre meno, mentre le altre sono costrette a vivere in situazioni irregolari (‘matrimoni bianchi’) o in casa con i genitori.

    Tanto più è apparso urgente dunque l’intervento di una giovane studentessa tra il pubblico, che, commossa, si è fatta portavoce della quasi disperata domanda di una sua coetanea conosciuta in un recente viaggio in Iran: “quanto manca – le aveva chiesto l’altra ragazza – affinché anche io possa godere delle libertà che sono così naturali per te?”Il grido di una generazione, si potrebbe dire, e di tanti altri giovani che vogliono un Iran aperto al mondo.

    Una domanda cui ha cercato di dare una parziale risposta – concludendo il dibattito che era stato aperto da Loretta Bondi, direttrice dei progetti internazionali di BeFree e componente del Direttivo della Casa internazionale delle Donne –  Tiziana Buccico, otto anni di vita in Iran e un’esperienza preziosa da dirigente della Scuola italiana Pietro Della Valle di Teheran: una scuola che non ha mai chiuso, ai suoi studenti italiani e iraniani, neanche nei momenti più difficili. Se il 4 novembre, giorno d’autunno in cui entreranno in vigore le sanzioni peggiori di Trump contro l’Iran (quelle sull’export del petrolio e le transazioni bancarie),  è una data che deve arrivare, “abbiamo ancora una carta da giocare – ha detto Tiziana Buccico – ed è quella della nostra diplomazia culturale: un campo che l’Italia non ha abbandonato mai”, a testimonianza di un “legame indissolubile” tra i due Paesi. Quanto alle donne, ha sottolineato, il loro carattere e la loro determinazione lo hanno già mostrato durante e dopo la lunga guerra Iran-Iraq degli anni Ottanta, quando i loro figli e mariti e fratelli erano combattenti e poi reduci di guerra. Con quella stessa forza e determinazione, ha concluso, saranno loro le artefici e i motori del cambiamento anche in futuro, quando e nei mondi e nei tempi che vorranno loro.

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