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Ha suscitato molto scalpore e numerose prese di posizione il concorso bandito dalla Regione Lazio per la selezione e assunzione di due ginecologi chiamati a svolgere presso l’Ospedale San Camillo di Roma attività dedicate al servizio di interruzione volontaria di gravidanza garantito dalla legge 194 del 1978 (Norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria di gravidanza).
Come è noto, questa legge ha avuto un percorso attuativo molto difficile dato l’elevato numero di medici obiettori di coscienza, fattore che ha reso e rende tuttora difficoltoso garantire il diritto inviolabile di una donna di scegliere entro 90 giorni se portare avanti o no una gravidanza.
Negli anni sono state molte le richieste, avanzate soprattutto da associazioni a tutela dei diritti civili e dei diritti delle donne, di dare piena applicazione a quanto da essa disposto.
In un articolo di Corrente Rosa del 15 luglio 2012, si sottolineava ad esempio come a distanza di più di 30 anni non fosse stata ancora varata una regolamentazione della obiezione di coscienza che non ledesse principi costituzionalmente garantiti delle donne (inviolabilità della persona, diritto alla salute).
Si chiedeva quindi di assumere misure che, pur rispettando la libertà di credo religioso dei medici, determinasse per quelli che si rifanno a questo diritto costituzionale, l’imposizione di un obbligo sostitutivo e di “sanzioni”. Tra le diverse possibilità concrete, si proponeva un minimo di penalizzazione a livello di carriera o di stipendio e la previsione di quote (minimo del 50%) di medici non obiettori in ogni concorso per ginecologia-ostetricia.
Nello stesso articolo si prospettavano anche altri interventi, quali:
la creazione di un albo pubblico dei medici obiettori di coscienza;
l’elaborazione di una legge quadro che definisca e regolamenti l’obiezione di coscienza;
concorsi pubblici riservati a medici non obiettori;
la deroga al blocco dei turnover nelle Regioni dove i servizi di interruzione volontaria di gravidanza sono scoperti.
Sono passati altri cinque anni da allora, e l’iniziativa della Regione Lazio, dove per inciso 8 ginecologi su 10 sono obiettori, ha sollevato una ridda di critiche e di puntualizzazioni, pur avendo una portata ben più ridotta rispetto a questi interventi di maggiore impatto per una piena applicazione della normativa.
Sono intervenuti, con prese di posizione sulla stampa, la Cei, che parla di snaturazione della legge 194 e ribadisce che l’obiettivo è quello di prevenire l’aborto, non di indurlo e il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli, che esprime un dubbio di legittimità su un concorso che escluda gli obiettori, che in tal modo verrebbero discriminati.
La Ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, dal canto suo, sostiene che non è prevista una procedura concorsuale come quella scelta dalla Regione Lazio, ma vi è la possibilità, in caso di fabbisogno, che la singola struttura si rivolga alla Regione per disporre di altro personale anche in mobilità.
E’ sceso in campo anche il presidente dell’Ordine del medici di Roma e provincia che avanza una richiesta al presidente della Regione Lazio di revocare l’atto definito “iniquo”, cui ha fatto seguito una dichiarazione più ponderata del presidente della Federazione nazionale dell’Ordine dei medici, il quale ritiene che i diritti delle donne vadano comunque salvaguardati.
Il presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti ha replicato, sempre a mezzo stampa, che l’intera procedura è stata del tutto corretta non essendoci nel testo del bando di concorso alcun riferimento al requisito della obiezione di coscienza, ma soltanto l’indicazione delle funzioni da svolgere per l’erogazione del servizio.
L’obiettivo fondamentale resta, secondo Zingaretti, quello di assicurare la piena applicazione della legge nella regione, compreso quello della prevenzione, che sta producendo effetti positivi, come dimostrerebbe la forte diminuzione delle interruzioni di gravidanza, passate da 21.274 casi nel 1987 a 9.617 nel 2015.
Resta il fatto, al di là di questo emblematico episodio che fa emergere le forti resistenze all’applicazione della norma nella sua interezza, che il nostro paese ha una percentuale di medici obiettori tra le più alte d’Europa, in media del 70%, come denuncia la Laiga, Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194/78.
Dai dati del Ministero della salute del 2016 si può vedere, inoltre, che su 94 ospedali con un reparto di ostetrica-ginecologia, solo 62, pari al 65,4%, praticano la IVG.
La presenza di medici obiettori è addirittura aumentata del 12% negli ultimi anni.
Le sole Regioni con una quota di obiettori inferiore al 60% sono l’Emilia Romagna, la Toscana ed il Friuli Venezia Giulia. Caso a sé stante la Valle d’Aosta, dove solo il 13% dei medici sono obiettori. Sul versante opposto si colloca il Molise, che ha oltre il 93% di medici obiettori.
Ma il problema ha una portata ben più ampia, visto che dopo il caso della Regione Lazio, si è aperta la questione della obiezione di coscienza per i medici e biologi che svolgono funzioni per la procreazione assistita. L’ospedale di Trecenta, in provincia di Rovigo, infatti, ha dovuto sostituire, per garantire il servizio, due biologhe obiettrici attraverso un concorso bandito dalla ASL, nel quale, come riferisce il giornale “Il Gazzettino”, si puntualizzava che l’obiezione costituisce “giusta causa di recesso dell’Azienda, in quanto la prestazione lavorativa diverrebbe oggettivamente inesigibile”.
La questione va affrontata quindi nella sua interezza, anche se quanto accaduto nella Regione Lazio è un piccolo passo in avanti, come hanno sottolineato in particolare l’Aied e l’Associazione Luca Coscioni, che ribadiscono tuttavia la richiesta alle Regioni di creare un albo pubblico dei medici obiettori; l’elaborazione di una legge quadro; concorsi pubblici riservati ai non obiettori; disponibilità di medici da immettere in caso di mancanza di personale; blocco del turnover nelle regioni dove il servizio è non disponibile.
Corrente Rosa, condivide tale soddisfazione e ritiene improcrastinabile il varo di interventi realmente incisivi, già proposti e richiesti da anni. Tra questi, come segnalato sul sito Zeroviolenza.it in un articolo a firma di una operatrice nel settore, Anna Pompili, va previsto anche un effettivo accesso alla IVG farmacologica, escludendo il ricovero ospedaliero, e attribuendo anche ai consultori e poliambulatori la possibilità di somministrazione.
Le Regioni, a cui sono attribuite le competenze in tema di salute, sono quindi chiamate a dare concrete risposte e ad assumersi in pieno le responsabilità di cui sono investite.
Leggi anche l’articolo del 15 luglio 2012: Regolamentare gli obiettori di coscienza per garantire la 194
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