Pari opportunità = opportuna parità: il rapporto pubblicato a dicembre 2007 dal Dipartimento Politiche Pari Opportunità della Segreteria nazionale UILCA, mette a fuoco le difficoltà di realizzazione delle pari opportunità: scarto retributivo tra uomini e donne, difficoltà di conciliare vita famigliare e lavoro, peculiarità del ruolo economico delle donne nel mondo… Riportiamo di seguito alcuni spunti particolarmente interessanti, invitandovi a leggere il documento nella sua integralità.
Lo scarto retributivo in Europa, per cominciare, resiste nonostante le ragazzine siano più brave a scuola e che il numero delle donne che accede al mercato del lavoro con un titolo universitario sia superiore a quello degli uomini. Secondo il rapporto 2007 della Commissione europea sul “pay gap” tra i sessi, le donne dell’Unione Europea continuano a guadagnare mediamente 15% di meno degli uomini. Una delle cause principali di discriminazione è il modo in cui vengono valutate le competenze delle donne rispetto a quelle degli uomini. Come è chiaro anche dal rapporto dell’OCSE “Babies and Bosses”, vi è poi la difficoltà, tipicamente femminile, di conciliare attività lavorativa e vita privata, anche a causa dell’insufficienza della rete dei servizi, delle inadeguatezze della normativa e alla poca flessibilità dell’organizzazione del lavoro.
Impariamo anche che il rapporto del World Economic Forum sul “Global Gender Gap” piazza l’Italia all’ottantaquattresimo posto (su 128), in coda alla maggior parte dei nostri vicini europei, ma anche dopo paesi come il Botswana e il Paraguay. L’Italia rimane un paese arretrato anche per quanto riguarda il “pay gap” ed il tasso di occupazione femminile pagata, che raggiunge livelli agghiaccianti soprattutto nel mezzogiorno (31% contro quasi 57% al nord). Secondo questo rapporto, occorre badare al peso della cosiddetta “economia delle donne” (“womenonomics”), cioè al ruolo che l’occupazione femminile all’esterno della famiglia ha nella creazione di benessere. I paesi caratterizzati da una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, come l’Italia, sono quelli che otterrebbero dall’aumento dell’occupazione femminile un maggior vantaggio in termini di crescita del PIL.
Viene anche fatto notare che il lavoro femminile non è necessariamente un ostacolo alla natalità: i livelli di fecondità crescono per i Paesi con tassi di occupazione femminile più alti e, naturalmente, con un maggior investimento in politiche e servizi che permettono di conciliare famiglia e lavoro. Per finire, importa soffermarsi sul ruolo dell’immaginario collettivo: i mezzi di comunicazione di massa presentano troppo spesso la donna lavoratrice come una donna aggressiva, sola ed infelice, contrariamente alla donna buona, felice ed attraente rinchiusa tra le sicura mura della propria casa.
Da quanto emerge dal rapporto dell’UIL Credito, il problema dell’Italia sta sopratutto nel considerare il lavoro di cura e di educazione del bambino come un affare esclusivamente privato. È necessario invece riconoscere il ruolo delle donne come motore di sviluppo economico e sociale e assumere una “terapia shock” per l’occupazione femminile.
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