SONO OLTRE LA META’ DELLA POPOLAZIONE E IN FASCIA DI ETA’ “MATURA”
Le donne italiane sono oltre 30 milioni e rappresentano il 51% della popolazione del nostro paese.
Nonostante alcune marcate differenze regionali, dall’indagine ISTAT 2007 emerge un profilo piuttosto netto della Donna Italiana del XXI Secolo:
la donna media italiana è più longeva dell’uomo, con un’aspettativa di vita di circa 80 anni e sono sempre più le donne di età “matura” (oltre il 22% ha più di 65 anni) in conseguenza della bassa natalità e dell’invecchiamento della popolazione.
LA VITA SPOSTATA IN “AVANTI”, CON SCELTE DA “EQUILIBRISTE”
Vive più a lungo in casa dei genitori e la dimensione familiare di tipo “tradizionale” rappresenta ancora un aspetto importante nella sua vita, in misura maggiore che nella media dei paesi europei anche se si sposa sempre meno rispetto al passato, più tardi (mediamente a 29 anni) e il numero delle “unioni libere” cresce.
Ha figli all’interno del matrimonio (86% delle nascite) e divorzia meno delle donne europee, nonostante la crescita del fenomeno. Fa sempre più spesso un solo figlio (1.3 Ë il numero medio di figli per donna) e le mamme ultratrentacinquenni sono in crescita (24% delle neomamme).
Si ritrovano più che in passato ad essere “capofamiglia” di una famiglia connotata al femminile: vedove, single anziane o mamme con figli a carico dopo una separazione. La donna vive in questi casi situazioni in cui è più facilmente esposte alla povertà.
La conciliazione tra vita familiare e lavoro è una delle sfide più complesse e la donna italiana sembra assomigliare sempre più ad una “equilibrista” tra vita professionale e domestica.
Oltre il 45% delle donne tra i 15 e 64 anni lavora, soprattutto se laureata (il 74% delle laureate). Si ritrova dunque sempre più spesso con le stesse responsabilit‡ lavorative di un uomo ma con un carico di lavoro familiare più gravoso: le Italiane hanno il primato europeo per tempo impiegato al lavoro familiare e ci dedicano mediamente 3h 25’ più degli uomini, anche se questo divario va diminuendo in quanto gli uomini dedicano ai lavori domestici 20’ in più rispetto al passato.
Inefficienza e scarsità dei servizi pubblici, invecchiamento della popolazione e famiglie sempre più “nucleari”, fanno sÏ che il peso di malati, anziani e figli ricada sempre più spesso su una stessa donna.
Non stupisce quindi che aumenti il ricorso a collaboratrici familiari straniere e che la donna italiana veda nel part-time lavorativo una possibile via per conciliare casa e lavoro: nel 2005 1 milione e 906 mila donne avevano un lavoro part-time, oltre quattro volte il numero degli uomini, con un incremento del 140% rispetto al 93. Nonostante l’aumento del fenomeno, siamo comunque ancora lontani dalle tassi europei.
SEMPRE PIU’ ISTRUITE E PORTATE PER LA SCIENZA E LA TECNICA. PIU’ BRAVE NEGLI STUDI, SE FANNO MENO CARRIERA GUADAGNANO MENO
Le donne italiane sono sempre più istruite rispetto al passato e gran parte di loro raggiunge livelli di istruzione superiore: l’80% delle diciannovenni ha un diploma e le Italiane si laureano prima dei coetanei uomini (le venticinquenni gi‡ laureate sono circa il 25% contro il 19% maschi).
Si iscrivono all’università più dei coetanei e frequentano prevalentemente corsi di laurea in discipline umanistiche (74% degli iscritti a discipline umanistiche). L’attrazione per le discipline scientifiche tuttavia aumenta, l’Italia complessivamente in questi settori Ë superata solo dal Portogallo. Nel prossimo futuro dunque anche il mondo tecnico-scientifico sarà più “rosa” e le donne dovrebbero essere più facilitate nell’accesso al lavoro, così aumenterà anche il tasso di occupazione femminile.
Attualmente la donna italiana che lavora è spesso laureata, fa l’imprenditrice individuale o in una società (29,2%), la libera professionista o occupa posizioni dirigenziali o di quadro intermedio nel settore pubblico o privato. Lavora prevalentemente nel settore dei servizi e quindi in agricoltura e in misura minore nell’industria.
Le differenze territoriali italiane sono evidenti per settore economico e tipologia di impiego (individuale o dipendente) ma emerge comunque una donna sempre più presente nel mondo del lavoro anche in settori di elevata professionalità. Nonostante ciò, molte sono ancora le donne italiane che vivono la disoccupazione, specialmente le più giovani (il 27% di quelle tra 15-24 anni) e quelle del sud Italia, ove i tassi di disoccupazione femminile superano anche il 20%. L’avere una laurea costituisce un indubbio vantaggio nel poter trovare un’occupazione: tra le laureate il tasso di disoccupazione scende infatti al 7.7% .
Nonostante la crescita del livello di istruzione e di presenza nel mondo professionale, la donna italiana guadagna meno di un uomo, sia perchè è ancora più presente degli uomini nelle fasce di lavoro meno retribuite, sia a causa di trattamenti più sfavorevoli a parità di posizione occupata. Si stima che le donne italiane nel 2005 guadagnavano circa il 30% meno dei colleghi maschi.
RINUNCIANO A TROVARE UN LAVORO
Un numero ancora non trascurabile di donne italiane tra i 25 e 54 anni, infine, rientrano nella cosiddetta “popolazione inattiva” (il 67% sono donne), ossia quella fascia di popolazione che non cerca (o non cerca più) lavoro attivamente, ma che sarebbero disponibili a lavorare. Le differenze territoriali sono anche qui significative: nel Mezzogiorno l’inattività delle donne più giovani è dovuta spesso alla maggiore difficoltà a trovare un’occupazione. Nelle fascia tra 25 e 54 anni incide la difficoltà a conciliare le esigenze familiari con quelle lavorative. Se hanno tre o più figli spesso scelgono di non lavorare.
PRESENTI NELLA VITA SOCIALE MA POCO IN POLITICA
La dimensione sociale è importante nella vita delle italiane:
mentre sono poco rappresentate nei luoghi politici, (14% degli eletti alla Camera e il 17% al senato), al disotto della media europea, oltre 4 milioni e mezzo sono impegnate in associazioni di volontariato e poco meno di due milioni in altre associazioni, quasi settecentomila si dedicano ad un sindacato.
Pur presentando tassi di partecipazione inferiori a quelli maschili, le cifre mostrano comunque una presenza e attenzione da parte delle donne alla dimensione sociale non trascurabile, tenendo conto anche del minor tempo “libero” disponibile rispetto agli uomini. In alcune regioni Italiane i tassi di partecipazione femminili superano persino quelli maschili.
Il livello di impegno attivo e/o di informazione su temi socio politici cresce per con il livello di istruzione e, generalmente, è più elevato nelle regioni del Centro-Nord Italia. Solo una minoranza non si informa né discute di politica (il 35%), generalmente le meno istruite.
SONO ATTENTE ALLA SALUTE E PIU’ RISPETTOSE DELLE LEGGI
L’attenzione alla salute e a stili di vita sani è in crescita specialmente per le donne con maggiore livello di istruzione:
le italiane aumentano i controlli preventivi verso malattie tumorali, fumano meno degli uomini.Se è vero che la popolazione tende a invecchiare e le donne sono più longeve, è prevedibile che andremo incontro ad un Paese caratterizzato da una popolazione in cui le donne over 65 saranno sempre più numerose.
Le donne commettono meno reati degli uomini e pertanto costituiscono una percentuale minoritaria della popolazione carceraria (4,3%). Le detenute nelle carceri italiane sono spesso straniere colpevoli di reati di prostituzione (85%) o contro l’ordine pubblico. Le Italiane sono invece per la maggior parte colpevoli di reati relativi alla detenzione di armi, contro la personalit‡ dello stato e contro la Pubblica Amministrazione.
SE SONO VITTIME DI VIOLENZA, NON NE PARLANO.
La violenza in qualsivoglia forma, fisica, sessuale e psicologica, costituisce una realtà vissuta ancora da molte donne di tutte le età in ambito sia domestico che non: si stima che quasi 7 milioni di donne tra 16 e 70 anni sia stata vittima di violenza fisica o sessuale, 1,4 milioni hanno subito violenza sessuale prima dei 16 anni, e oltre 7 milioni subiscono o hanno subito violenza psicologica.
Le donne tendono a non parlare delle violenze subite: oltre met‡ di coloro che hanno subito violenza non ne ha parlato con nessuno; il 18,3% delle donne che hanno subito violenze in famiglia, inoltre, non considera tali atti come reati.
Leggi l’analisi di Fabiola Riccardini dell’ISTAT
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