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Le Monde ha dato spazio e risalto, il 28 febbraio scorso, ad una importante “tribuna” di donne che lavorano nel cinema francese e chiedono l’introduzione di quote nel finanziamento del settore cinematografico per raggiungere la parità di diritti tra uomini e donne.
Del collettivo fanno parte più di200 professioniste, tra cui attrici quali Juliette Binoche, Agnès Jaoui, Charles Berling e Alexandra Lamy.
In quello che si potrebbe definire il loro manifesto, su Le Monde, sostengono che in Francia tutti possono creare, inventare, esprimersi liberamente attraverso la creazione artistica cinematografica che viene tutelata dallo stato francese, veicolando in tutto il mondo la settima arte con la sua diversità, la sua singolarità e il suo fascino.
Tuttavia, esse ritengono che le donne siano discriminate nel cinema, sottolineando come il 60% dei laureati della Scuola Nazionale dei mestieri dell’immagine e del suono (in Francia) sono donne ma solo 28% dei fondi sono attribuiti a donne. Inoltre, meno di un lungometraggio su quattro accreditato dal Centro nazionale per il cinema e l’immagine animata (CNC) sia diretto da una donna. In settantuno anni di Festival del Cinema di Cannes, si fa poi notare, una mezza Palma d’Oro è stata assegnata a Jane Campion nel 1993, condivisa con Chen Kaige, mentre un César come migliore regista è andato a Tonie Marshall nel 2000.
Significative sono inoltre le disparità retributive, con un divario del 42% a sfavore delle donne e con solo il 28% degli anticipi sui finanziamenti assegnati dal CNC destinati a progetti guidati da donne.
In altri paesi, invece, sta emergendo la consapevolezza di una vera uguaglianza di genere nell’industria cinematografica.
Il riferimento va alla Svezia e Irlanda, che hanno adottato quote con l’obiettivo che, entro tre anni, il 50% delle sovvenzioni sia assegnato ai progetti delle donne. La Spagna ha scelto un sistema di punti, che valorizza i progetti delle donne per l’assegnazione di borse di studio. Il Canada si è dato tre anni per raggiungere una parità nel numero di produzioni realizzate da donne.
L’esperienza fatta con l’adozione delle quote mostra quindi, secondo le promotrici della tribuna, che questa misura sia la più efficace in termini di risultati, come mostra soprattutto il caso della Svezia, dove la proporzione di donne registe è aumentata dal 16% nel 2012 al 38% nel 2016.
Nell’articolo si ricorda che il 28 settembre 2017 il Consiglio d’Europa ha persino adottato una raccomandazione storica che invita gli Stati membri a rivedere la loro legislazione e le loro strategie per promuovere l’uguaglianza nel settore, porre fine all’ineguaglianza nella distribuzione delle sovvenzioni e garantire la raccolta, monitoraggio e pubblicazione dei dati.
Molto positivamente viene quindi valutata l’iniziativa della Ministra della Cultura, Françoise Nyssen, che il 7 febbraio, in occasione della Commissione ministeriale per l’uguaglianza tra uomini e donne nella cultura e comunicazione, ha annunciato la sua determinazione a garantire la parità nel mondo della cultura.
Gli obiettivi condivisi dalle promotrici dell’appello, con la Ministra della Cultura, sono sostanzialmente due. Quello di raggiungere la parità nelle commissioni di produzione e la parità del numero di progetti sostenuti negli organismi che gestiscono i fondi pubblici. In secondo luogo, quello di ottenere il rinnovo dei decisori per raggiungere la parità nella promozione, diffusione di opere cinematografiche e audiovisive.
L’appello pubblicato da Le Monde ribadisce l’esigenza di far emergere nuove figure nella creazione e nell’industria della cultura, combattendo il sessismo e il machismo, veri ostacoli alla libertà di espressione. Da qui l’auspicio che i leader delle organizzazioni professionali e dei sindacati possano cogliere l’opportunità storica di partecipare al cambiamento promesso dalla Ministra.
Cambiamento che è necessario anche nel nostro Paese, dove l’industria cinematografica ha sempre avuto una grande rilevanza sia sul versante culturale che su quello economico.
Corrente Rosa propone che delle quote di genere vengano stabilite anche in Italia dove il numero di progetti promossi da donne e finanzianti da fondi pubblici rimane sempre insufficiente rispetto a quelli maschili.
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