Rapporto Istat sul Benessere Equo e Sostenibile in Italia (BES 2015)

    Nicoletta Bevilacqua.

    Recentemente pubblicato dall’Istat, il rapporto BES 2015 fornisce elementi importanti per comprendere la condizione delle donne nell’Italia di oggi. Sebbene il rapporto registri significativi passi avanti nel campo della rappresentanza politica, di quella nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, così come progressi nel campo della salute e dell’istruzione e formazione, la situazione delle donne in Italia è ancora molto critica nei settori del lavoro e della sicurezza. In Italia il divario di genere nella partecipazione al mercato del lavoro è tra i più alti d’Europa, così come alto rimane il divario salariale. Inoltre la carenza di servizi di supporto alla genitorialità rende ancor più difficile la partecipazione femminile al mercato del lavoro. Per quanto riguarda la sicurezza, si registra un aumento dei reati più gravi contro le donne e rimane stabile la quota di stupri e di tentati stupri.

    Il rapporto BES di recente pubblicato dall’Istat, che ne cura da tre anni la realizzazione in collaborazione con il Cnel, ha l’obiettivo di valutare il progresso della nostra società attraverso le fondamentali dimensioni sociali e ambientali del benessere, corredate da misure di diseguaglianza e sostenibilità.

    Lo studio offre un quadro complessivo dei principali fenomeni sociali, economici e ambientali che caratterizzano il nostro Paese analizzando, attraverso 130 indicatori, il complesso degli aspetti che concorrono alla qualità della vita dei cittadini.

    Si tratta quindi di un contributo conoscitivo molto ampio e articolato, che consente, come accade anche in altri paesi, di misurare la multidimensionalità del benessere e del progresso civile e la loro evoluzione nel tempo.

    Alcuni ambiti della ricerca, che considera 12 macro aree tematiche, sono di particolare interesse per cogliere i cambiamenti in atto nella condizione femminile, evidenziando come si stiano modificando le differenze di genere nel nostro Paese.

    Il primo aspetto da considerare riguarda la condizione della salute. Tradizionalmente l’aspettativa di vita è per le donne superiore a quella maschile (85,2 anni nel 2013, 4,7 anni in più degli uomini). Nell’ultimo decennio, tuttavia, tale divario si è ridotto in ragione di un guadagno di 2 anni per gli uomini a fronte di 1,4 anni per le donne. La più lunga speranza di vita ha però come corrispettivo una maggiore incidenza delle limitazioni nelle attività svolte e un peggiore benessere psicologico, come pure, dopo i 50 anni, un peggiore stato di salute fisica. Ciò nonostante le donne adottino in misura maggiore stili di vita più salutari (fatta eccezione per una più accentuata sedentarietà), limitando l’uso di alcolici e il fumo e assumendo di più alimenti che contrastano il fenomeno dell’obesità, più presente nella popolazione maschile.

    Uno degli ambiti nei quali si registra un progressivo e significativo vantaggio per le donne è rappresentato dalla istruzione e formazione. In un quadro generale in cui l’Italia riduce il forte divario nei confronti del resto d’Europa, sia per l’aumento della quota di persone che conseguono il diploma superiore e la laurea, sia per l’incremento della formazione continua e il ridimensionamento dell’abbandono scolastico, la componente femminile fornisce un contributo rilevante alla qualificazione del capitale umano. Il distacco nella quota di diplomati a favore delle donne è di circa 3,5 punti nel 2014 e tra i 30-34enni che hanno conseguito la laurea il vantaggio è nello stesso anno pari a 10,3 punti percentuali. Le donne, inoltre, presentano un minore abbandono scolastico (12,2% rispetto al 17,7% degli uomini) e denotano sia un migliore livello di competenza alfabetica, sia un maggiore ricorso alla formazione continua. Solo nelle competenze numeriche e informatiche la situazione si capovolge, con un gap di oltre 13 punti a favore della componente maschile.

     

     

    Ben diversa appare la situazione per il lavoro. Il contesto generale segnala una ripresa della occupazione nel 2014, ma la distanza con altri paesi europei continua a crescere. In Italia il divario di genere nella partecipazione al mercato del lavoro è poi tra i più alti d’Europa (13 punti in meno rispetto ai paesi Ue28). Anche la qualità del lavoro è peggiore dal momento che le donne sono più spesso occupate nel terziario e, soprattutto quelle straniere, in professioni a bassa specializzazione.

    Pur in presenza di una lenta ma costante riduzione, il gap di genere nel nostro Paese quanto a tasso di occupazione supera i 19 punti percentuali, e per colmarlo dovrebbero lavorare almeno 3,5 milioni di donne in più di quelle attualmente occupate. Una situazione negativa si riscontra anche per quanto concerne la mancata partecipazione al lavoro: nel 2014 il 27% delle donne che intendevano lavorare non ci è riuscito (sul versante maschile tale incidenza è stata pari al 19,3%). Su tale aspetto è lecito supporre che incida anche la difficoltà a conciliare il lavoro con le esigenze familiari. Non a caso, il Rapporto segnala, nella sezione dedicata alla qualità dei servizi, una stazionarietà dell’offerta di servizi quali asili nido, micronidi e servizi integrativi per la prima infanzia che risente della contrazione dei finanziamenti a disposizione dei Comuni.

    Decisamente critici per la condizione femminile sono anche gli indicatori di qualità del lavoro, che segnalano una differenza a sfavore delle donne sia per i lavoratori a termine da almeno 5 anni, sia per il part time involontario (nel 2014 è triplo rispetto a quello degli uomini, con valori pari rispettivamente al 24,8% e al 6,2%).

    Ulteriore elemento di disuguaglianza emerge dal confronto sui livelli di istruzione (il 24,8% delle donne è sovraistruito rispetto al lavoro svolto, mentre tra gli uomini tale condizione è presente nel 21,7% dei casi), come pure sui bassi livelli retributivi (12,3% le donne e 9% gli uomini).

    Un significativo elemento di dinamicità è rappresentato dalla crescente presenza politica delle donne nel quadro politico e istituzionale. A livello europeo, dopo le recenti elezioni, l’Italia raggiunge (con una incidenza del 40% delle elette) una rappresentanza femminile al Parlamento europeo superiore alla media totale (37%).

    Analoga tendenza si riscontra nel Parlamento nazionale, dove l’aumento delle donne ha determinato una riduzione dell’età media di 3 e 5 anni rispettivamente nella Camera e nel Senato. L’incidenza delle elette è cresciuta dal 23,3% del 2013 all’attuale 30,7%.

    Diversa appare la situazione nei Consigli regionali, nei quali le donne rappresentano solo il 18%, dato di poco superiore a quello del 2012. Sono la Toscana, l’Emilia Romagna, il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia e il Molise le regioni che contribuiscono a incrementare le quote, mentre sul fronte opposto si trovano la Basilicata (dove nessuna donna è stata eletta) e la Sardegna.

    La normativa in materia di salvaguardia delle quote di genere ha verosimilmente influito sulla presenza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa che raggiunge il 22,7%, con un incremento di 5 punti rispetto al 2013. Anche nelle principali istituzioni (Corte costituzionale, CSM, Consob, Authorities e Corpo diplomatico) si nota un piccolo aumento (dal 10,1% del gennaio 2014 al 15,8% del luglio 2015).

    Altro ambito tematico di rilevante interesse indagato dal Rapporto è quello della sicurezza.

    Negli ultimi 5 anni diminuisce la violenza fisica, sessuale e psicologica contro le donne. La riduzione riguarda anche la violenza “entro le mura domestiche”, ma soprattutto i reati meno gravi. Aumentano, invece, i reati più gravi e rimane stabile la quota di stupri e di tentati stupri. La gravità del fenomeno nella sua interezza rimane quindi molto forte, anche se il Rapporto segnala una maggiore consapevolezza da parte delle donne sulla violenza subita, anche da parte del partner, e sulla necessità di chiedere aiuto attraverso denunce alla autorità di polizia e il ricorso a centri antiviolenza, a servizi sociali e non. Anche l’attenzione maggiore della stampa ha svolto un ruolo importante, come pure la normativa recente che ha indotto nella opinione pubblica una più diffusa condanna sociale del fenomeno.

    Rimane tuttavia una differenza forte circa la percezione della sicurezza a svantaggio delle donne, pari a 20 punti percentuali rispetto agli uomini, con una accentuazione di tale percezione negativa tra le ragazze di 14-19 anni, che sono, con le altre donne giovani, quelle che maggiormente si sentono esposte al rischio di subire violenza fisica o sessuale. Gli omicidi di donne sono poco più di un terzo del totale (erano un decimo 10 anni fa), e sono di frequente correlati a rapporti con il partner o ex partner, fattore questo che, come sottolinea il Rapporto, limita le possibilità di prevenzione se non mutano radicalmente le relazioni tra sessi.

    Anche la percezione del benessere soggettivo, delle possibilità offerte dal futuro, vedono differenze significative a svantaggio delle donne, soprattutto dai 65 anni in su. Il maggiore pessimismo si coglie analogamente per quanto concerne i livelli di soddisfazione del proprio tempo libero, che risultano più bassi rispetto agli uomini (62,4% contro il 67%), con una accentuazione di tale orientamento dai 45 anni in poi.

    Il quadro complessivo che emerge è, come si vede, in chiaroscuro, con una prevalenza ancora forte dei fattori di svantaggio che, a cominciare dal lavoro (o dal non lavoro) penalizzano la condizione femminile e la relegano in una situazione di subalternità, nonostante i marcati progressi registrati in tanti campi, soprattutto nella istruzione e formazione. Il ruolo delle donne appare ancora connotato da tante difficoltà, non solo per le più anziane che patiscono maggiormente una usura psicofisica e un affievolimento dei livelli di soddisfazione nella vita e delle loro prospettive future, ma anche per quelle più giovani, impegnate in misura maggiore degli uomini nel problematico compito di trovare un lavoro, sia pure difficilmente consono alle proprie competenze e aspettative ed adeguatamente retribuito. La scarsa dotazione di servizi in grado di sostenere l’impegno della maternità e di conciliare quindi vita familiare e lavoro rende obiettivamente più difficile tale impegno.

    Sullo sfondo rimane il problema della sicurezza rispetto a forme diverse di violenza che, pur in diminuzione per i reati meno gravi, si configura ancora come una emergenza sociale, meno occultata rispetto al passato ma comunque presente e incombente.

    Certo va valutata positivamente la più diffusa rappresentanza femminile nel contesto politico e istituzionale, a conferma dell’impatto positivo delle normative recenti e di un cambiamento di prospettiva sul contributo che le donne possono dare per lo sviluppo sociale ed economico del Paese. E’ un segnale importante in quanto evidenzia una discontinuità negli orientamenti della classe politica in merito alla selezione dei decisori pubblici, rendendo accessibili anche alle donne luoghi e spazi determinanti per la definizione e attuazione delle policies. Ma si tratta di un segnale che di per sé non appare sufficiente a far evolvere, come necessario e in tempi sperabilmente non lunghi, la condizione femminile, in linea con quanto avviene nei paesi più progrediti.

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