Valore D

    Valore D, è la prima associazione di grandi imprese creata in Italia per sostenere la leadership al femminile in azienda.

    La sua missione è aumentare la rappresentanza dei talenti femminili ai vertici delle aziende italiane e sostenerne la partecipazione alle dinamiche d’impresa attraverso azioni tangibili e concrete.

    Le aziende hanno tutto l’interesse a migliorare la rappresentanza femminile al proprio interno; con un mix di genere elevato ottengono performance organizzative migliori e performance economiche superiori, con un ROE superiore del 10% rispetto alla media di settore e un EBIT quasi doppio.

    Molti studi dimostrano (Catalyst, Cerved, McKinsey) che le aziende con una più grande diversità di genere nelle posizioni di alta dirigenza porti ad organizzazioni più armoniche e rispettose dei valori e con migliori performance dal punto di vista economico e finanziario.

    Valore D promuove un programma di attività condiviso tra le aziende promotrici che permette di cogliere i benefici derivanti da una maggiore partecipazione dei talenti femminili alle dinamiche d’impresa. Il programma fatto di gruppi di lavoro e di incontri è raggruppato in 4 aree: mentorship, skill building, role model e flessibilità.

    Ad oggi tra le principali aziende che partecipano a Valore D ci sono: Intesa San Paolo, Unicredit, Luxottica, Vodafone, Microsoft, McKinsey, Enel, FIAT, l’UIR (Unione degli Industriali e delle Imprese di Roma), IKEA.

     

    RESOCONTO

    Conferenza Valore D – Donne al Vertice Per l’Azienda di Domani

    “IL VALORE DELLA FLESSIBILITA’: UNA LEVA PER UNA MAGGIORE RAPPRESENTANZA”

    27 Ottobre 2009 – Ore 10-14

    Palazzo Valentini – Via IV Novembre, 119/A – Roma

     

    La flessibilità è un valore per le imprese e consente indirettamente una maggiore rappresentanza femminile nei ruoli di vertice delle aziende, influenzandone positivamente la performance economica e lo sviluppo dei talenti.

    Questo il tema centrale discusso nella conferenza organizzata da Valore D – Donne al Vertice Per l’Azienda di Domani, la prima associazione italiana di grandi imprese creata per sostenere la leadership femminile in azienda, attraverso la promozione della rappresentanza dei talenti femminili ai vertici delle aziende italiane e sostenerne la partecipazione alle dinamiche d’impresa anche attraverso azioni concrete. Corrente Rosa ha partecipato all’evento.

    Erano presenti rappresentanti del mondo istituzionale e manager (uomini e donne!) di importanti aziende pubbliche e private, nazionali e multinazionali, che hanno illustrato alcune iniziative di flessibilità aziendale e “case history” a sostegno di percorsi di carriera e stili di leadership più equilibrati tra i generi.

    La situazione di arretratezza in Italia su questo tema è ben noto ed è confermata anche dai risultati dell’indagine condotta da Mc Kinsey&Company, illustrata nel corso della giornata: la presenza delle donne ai vertici delle imprese italiane è ferma al 4% , con un tasso medio di diffusione degli strumenti di flessibilità aziendali pari al 10%, dati che ci pongono come fanalino di coda in Europa, ove invece la media è rispettivamente del 9% e del 12%, fino a raggiungere livelli di Best Practice pari al 17% di presenza femminile ai vertici aziendali e tassi di utilizzo degli strumenti di flessibilità che si attestano al 36%. Sorprende peraltro che tra le Best Practice non compaiono solo i consueti paesi del Nord Europa, ma anche Germania e Francia. Di contro le aziende con elevata diversità di genere misurano risultati economici superiori fino anche al 48% rispetto alle media di settore.

    A guardare i dati, sembra dimostrato che la flessibilità favorisca una presenza più ampia delle donne ai vertici delle aziende. Eppure la ricerca Mc Kinsey sfata il mito per cui flessibilità è una esigenza solo “al femminile”, motivata dalla necessità di occuparsi di famiglia e figli, che si traduce semplicemente in una richiesta di riduzione degli orari lavorativi (part-time) e che, ancor peggio, ostacola la carriera.

    L’indagine condotta su un campione di 900 manager aziendali, equamente distribuiti tra i due generi e per settori lavorativi (staff e line), dimostra che l’esigenza di forme di lavoro diverse e più flessibili è sentita in misura pressoché paritaria tra uomini e donne e per motivi spesso personali, non legati strettamente alla cura della famiglia: il 72% delle donne e il 68% degli uomini infatti si dichiarano interessati agli strumenti di flessibilità e gli utilizzatori effettivi sono rispettivamente il 13% e 12%. Il 35% degli interessati è single, il 49% non ha figli e il 47% lavora vicino casa.

    Ciò che dunque sembra emergere è che, tra i manager, l’opportunità di nuovi modi di lavorare è sentita come esigenza da entrambi i generi.

    Gli ostacoli da superare tuttavia esistono e risiedono soprattutto nella cultura aziendale ancora legata a modelli tradizionali di lavoro (costante presenza effettiva sul luogo di lavoro, scarsa personalizzazione degli strumenti di flessibilità, timore di ostacolo alla carriera, …) e di pianificazione delle carriere (es. non sempre coerente con i “cicli vitali” delle donne – considerando che notoriamente le aziende puntano sulla valorizzazione dei talenti intorno a 30-35 anni, periodo in cui spesso si affacciano anche progetti familiari).

    Altre leve oltre la flessibilità per migliorare l’equilibrio di genere nei posti di vertice sono azioni di mentoring per le donne in carriera, lo skill building (accrescimento di competenze chiave e della leadership, sviluppo di networking), la promozione di modelli “alternativi” di management (role model) che includono anche caratteristiche più tipicamente femminili.

    Se è vero quindi che l’equilibrio di genere nelle carriere e nei posti di vertice aziendali genera valore positivo sia in termini economici che non, le leve su menzionate potranno essere efficaci se e solo se si favorisce la diffusione degli strumenti di flessibilità con criteri “gender neutral” e, come ha affermato Avivah Wittemberg Cox (Chairman di 20-First e autrice del libro Women mean business) se le aziende stesse imparano ad essere “bilingue”, ossia mutano il loro modo di agire e pensare, includendo stili di management (linguaggi) che parlano equamente in modo “un po’ maschile e un po’ femminile”.

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