Negli ultimi cinquant’anni è cresciuto l’impiego femminile nella Pubblica Amministrazione. Tale evoluzione è stata possibile grazie a Rosa Oliva, la quale avviò un’azione giudiziaria che condusse la Corte Costituzionale a dichiarare l’illegittimità costituzionale di ogni preclusione all’accesso delle donne agli impieghi pubblici. Sebbene la presenza femminile nell’istruzione e nel lavoro abbia seguito un trend positivo, accentuatosi negli ultimi due decenni, la percentuale delle donne negli incarichi di vertice rimane a tutt’oggi esigua, sintomo della presenza di una serie di freni all’interno del nostro Paese.
Cinquant’anni fa, la Corte Costituzionale emanava la celebre sentenza n.33 del 1960, che sanciva l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che avessero creato discriminazioni di genere nelle carriere pubbliche. La battaglia fu avviata dalla Dottoressa Rosa Oliva, che si vedeva preclusa la strada per divenire un funzionario dello Stato a causa di una legge del 1919 (nata, peraltro, prima della Costituzione e mantenuta “per distrazione”), che contrastava con l’art. 3 della Costituzione – principio di uguaglianza davanti alla legge – e con l’art. 51 – principio di uguaglianza nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. La risolutezza della Dottoressa Oliva ha reso possibile l’avviarsi della lunga scalata delle donne nelle carriere pubbliche – oggetto del Convegno alla Camera dei Deputati del 13 maggio 2010 -, la quale, tuttavia, rimane a tutt’oggi un “percorso ad ostacoli”. In tal senso si è espressa la Dottoressa Linda Laura Sabbadini, Direttore centrale dell’Istat, che in occasione del Convegno ha presentato alcuni dati relativi alla posizione femminile nell’istruzione e negli incarichi pubblici.
Secondo i dati in esame, la prima grande “rivoluzione” è stata caratterizzata dalla maggiore partecipazione delle donne nel campo dell’istruzione, avviatasi nel ventennio ‘50-’70. La diffusione della formazione e della cultura, infatti, ha portato ad un forte incremento del tasso di scolarità femminile, pari al 28% in più rispetto a quello maschile negli ultimi due anni. Le donne investono più degli uomini nell’istruzione: non solo dimostrano una minore irregolarità negli studi, ma negli ultimi anni hanno completato il loro percorso universitario con voti più alti. Inoltre, le donne sono progressivamente entrate in corsi “tipicamente maschili” (sia nelle scuole superiori, sia all’università), in particolare nell’ambito scientifico ed economico.
È altresì cambiato il modello della partecipazione femminile al mondo del lavoro: dalla metà degli anni ‘90 al 2008, l’occupazione femminile è cresciuta, sebbene permangano importanti differenze tra il Nord e il Sud del nostro Paese. Inoltre, gli effetti della recente crisi economica si sono riverberati in misura maggiore sugli impieghi delle donne ed in particolare nel settore industriale, con una riduzione delle occupate pari al 7,5%, contro il 3% della disoccupazione maschile.
Particolarmente interessante è la posizione delle donne nelle carriere pubbliche: dal 1994 al 2008, il numero di occupate nella Pubblica Amministrazione (PA) ha subito un incremento del 17,7%, mentre la componente maschile è diminuita del 9,4%. Un simile trend si è verificato pressoché in tutti i settori ed è stato particolarmente accentuato nella magistratura (39,7% di donne nel 2008 contro il 3,3,% nel 1976). Un’ulteriore dimostrazione che quando si premia il merito (in questo caso con un concorso) le donne vanno avanti. Inoltre, sul totale degli impiegati pubblici nell’ambito della Sanità e dell’Istruzione, il 69% è costituito da donne. Tuttavia, nel Mezzogiorno l’impiego femminile nella PA è minore, non avendo raggiunto la maggioranza neppure nel 2008 (48,2 %).
Sebbene l’occupazione femminile negli impieghi pubblici sia cresciuta, vi sono a tutt’oggi alcuni ostacoli che impediscono alle donne di arrivare alle posizioni apicali. In tal senso, le rigidità culturali, la scarsa flessibilità nell’organizzazione del lavoro e l’insufficienza di servizi sociali per l’infanzia non consentono alle donne di conciliare gli impegni familiari con la propria carriera. A differenza di quanto avviene in Europa, in Italia l’occupazione femminile diminuisce con l’arrivo dei figli ed una donna su quattro lascia il lavoro dopo il parto. Un rilevante fattore di “ostacolo” appare la suddivisione dei compiti coniugali, troppo spesso asimmetrica (specie nel Mezzogiorno): si pensi, ad esempio, che il 23% degli uomini non dedica neppure 10 minuti del proprio tempo al lavoro familiare. Inoltre, mentre le donne raggiungono risultati brillanti per le posizioni lavorative alle quali si accede per concorso e per merito, le stesse ottengono meno frequentemente incarichi per nomina e per cooptazione. In particolare, nell’ambito della diplomazia, l’Italia è in ritardo rispetto agli altri Paesi europei ed occidentali: le donne occupate in tale settore non superano il 16%. Mentre per gli Stati Uniti ben 40 donne svolgono la funzione di ambasciatore, per la Svezia 30 e per la Norvegia 28, alla Farnesina solo 9 donne sono a capo di una sede permanente all’estero – su un totale di 132 missioni. Inoltre, considerando il grado formale di ambasciatore – e non semplicemente la funzione di capo di una missione permanente -, su un totale di 31 ambasciatori vi è una sola donna: Laura Mirachian, che dal 2008 è Capo della Rappresentanza Permanente presso le Organizzazioni Internazionali a Ginevra. Anche in altri settori dell’impiego pubblico le donne con cariche di vertice sono poche: il 12,3% è primario, il 15% prefetto, il 17,6% professore ordinario, il 14,6% magistrato presidente di sezione della Corte dei Conti ed il 13,2% magistrato presidente di sezione del Consiglio di Stato. Infine, due donne su 40 sono presidenti di sezione della Corte di Cassazione.
In conclusione, se le donne ottengono risultati brillanti nel loro percorso formativo, è altrettanto vero che vi sono poche opportunità per accedere successivamente a posizioni di vertice o mantenerle, una volta raggiunte, qualora subentrino alcune variabili, famiglia in primis. A fronte di tali dinamiche, non può non emergere un paradosso: sebbene le donne appartenenti alla forza lavoro si distinguano spesso per competenza e professionalità, le barriere e gli ostacoli – culturali e pratici – alla propria carriera si traducono in uno spreco di risorse umane non pienamente utilizzate a livello nazionale.
©2014 - Corrente Rosa - Associazione non lucrativa e senza legami politici
Nessun commento